Le sedici parole di George W. Bush che denunciavano il riarmo nucleare iracheno e sono valse una guerra – “Il governo inglese ha appreso che Saddam Hussein ha recentemente cercato di acquisire significative quantità di uranio dall’Africa” – erano fondate su una menzogna. Ad accreditare quella menzogna a Washington è stato, un mese dopo l’11 settembre, “un rapporto dell’intelligence militare italiana”, il Sismi, “che dava conto dell’acquisto iracheno di 500 tonnellate di yellowcake (uranio grezzo) dal Niger”. Le informazioni italiane erano false, erano costruite su documenti altrettanto falsi ed erano soprattutto le stesse in possesso degli inglesi.
La Cia ne divenne presto consapevole, ma, alla Casa Bianca, “il presidente degli Stati Uniti, il suo vice Dick Cheney, l’allora consigliere per la sicurezza nazionale e oggi Segretario di Stato Condoleezza Rice” decisero di ignorare ciò che Langeley aveva raccolto e che autorevolmente smontava quella menzogna.
Con un’inchiesta trasmessa domenica 20 aprile 2006, negli Stati Uniti – “A spy speaks out”, “Parla una spia” – il team investigativo di 60 minutes della rete televisiva americana Cbs trova ulteriori e qualificate conferme all’inchiesta pubblicata nell’autunno scorso da Repubblica (il cosiddetto “Nigergate”). Torna ad accendere un faro sulle responsabilità della Casa Bianca nell’uso politico dell’intelligence che ha preceduto la guerra. Travolge ciò che ancora resta dei dinieghi e tentativi di manipolazione con cui il nostro governo uscente e il Sismi, in quei mesi, cercarono di annebbiare il proprio coinvolgimento tecnico-militare e politico in una delle vicende chiave che hanno segnato l’invasione dell’Iraq. E dimostra l’inconsistenza dell’accusa mossa dal Sismi ai servizi francesi di essere stati loro dietro l’operazione di disinformazione sull’uranio nigerino.
La ricostruzione della Cbs poggia su solide evidenze documentali – il Senate Select Committee on Intelligence report, rapporto della commissione parlamentare di Controllo sull’intelligence americana che ha preceduto e giustificato la guerra; un memorandum alla Casa Bianca del gennaio 2003 del National Intelligence Council, l’organismo che coordina le attività dell’intera comunità di intelligence americana – e su altrettanto solide testimonianze dei protagonisti dell’affare. Su tutte, quella di Tyler Drumheller, la “spia che parla”. Nel racconto disteso di questo funzionario corpulento, che ha lasciato la Cia nel 2005, dopo 26 anni di servizio, è la testimonianza di come i falsi documenti sull’acquisto di uranio nigerino confezionati a Roma e messi insieme da una fonte del Sismi (Laura Montini, impiegata nell’ambasciata nigerina di Roma), da un colonnello del Sismi (Antonio Nucera), da uno spione free-lance già agente del Sismi (Rocco Martino) e da un diplomatico nigerino (il consigliere di ambasciata Yaou Zakaria Maiga) si siano fatti strada a Washington.
Tyler Drumheller conosce ciò di cui parla per esperienza diretta, perché tra il 2001 e il 2005 è il responsabile delle operazioni coperte della Cia in Europa. Spiega così alla Cbs che il rapporto che la Cia riceve un mese dopo l’11 settembre 2001 e che accredita l’acquisto iracheno di uranio in Niger “arriva dall’intelligence italiana”. La circostanza non è neutra e, soprattutto, come si legge nel transcript integrale dell’inchiesta (lì dove sono indicate con meticolosa precisione le fonti testimoniali e documentali della ricostruzione), è confermata all’emittente televisiva americana da un secondo alto ex funzionario dell’intelligence americana: Bill Murray, ex capo della stazione Cia di Parigi.
Di fronte a quel primo rapporto italiano – racconta Drumheller – “la nostra reazione all’Agenzia fu che la storia non stava in piedi”. Un giudizio che non sembra modificarsi neanche quando, nell’inverno del 2002, il Direttorato per le Operazioni di Langley, sempre sulla scorta delle informazioni che arrivano da Roma, dissemina un secondo e più dettagliato memo, “che contiene la trascrizione di un accordo tra Iraq e Niger asseritamente siglato il 5-6 luglio 2000 per la vendita a Saddam di 500 tonnellate di uranio grezzo l’anno”. Che dà conto cioè del contenuto di uno dei documenti ufficiali nigerini che sono stati messi insieme a Roma da Rocco Martino e dalla signora Laura Montini e che presto risulteranno essere carta straccia.
I motivi dello scetticismo di Langely sono diversi. A cominciare dalle conclusioni che l’ambasciatore Joe Wilson rassegna alla Cia dopo aver verificato con una missione in Niger di otto giorni che non c’è traccia di nessun accordo con l’Iraq e di nessun acquisto di uranio da parte di Bagdad. Ma c’è una circostanza che fa premio su tutte. Nei mesi in cui il Sismi accredita la bufala nigerina, la Cia ha convinto il ministro degli Esteri iracheno Naji Sabri a tradire Saddam e consegnare agli Stati Uniti i segreti militari del regime. Tyler Drumheller è il funzionario che dirige la squadra Cia che interroga il ministro iracheno e ne verifica le informazioni. Racconta Drumheller: “Naji Sabri ci disse che l’Iraq non aveva alcun programma attivo per la costruzione di armi di distruzione di massa e le sue informazioni risultarono attendibili alle nostre verifiche”. “In un incontro cui partecipano George W. Bush, il vicepresidente Dick Cheney e l’allora consigliere per la sicurezza nazionale Condoleezza Rice”, l’allora direttore della Cia, George Tenet, mette a parte la Casa Bianca del tradimento di Sabri. E alla Casa Bianca, almeno all’inizio, “la reazione è entusiasta”. “Erano eccitati – ricorda Drumheller – del nostro grado di penetrazione degli iracheni”. Ma quell’eccitazione diventa fastidio quando Tenet comincia a riferire allo studio Ovale ciò che il ministro iracheno va dicendo: che la storia del riarmo nucleare di Saddam è una frottola. “A un certo punto – prosegue il racconto di Drumheller – il gruppo che nell’Agenzia teneva i contatti con la Casa Bianca e si occupava della preparazione della guerra venne da noi e ci disse: “Il ministro iracheno non interessa più”. E noi: “E che ne facciamo dell’intelligence in corso?”. La risposta fu: “L’Iraq non è più una questione di intelligence ma di cambio di regime””.
Il ministro Naji Sabri, che, come la storia dimostrerà, riferisce cose vere (il regime di Bagdad non ha arsenali nucleari), finisce in un cestino, accusato dalla Rice non solo di essere “inattendibile”, ma anche di essere “unica fonte di un’informazione altrimenti non corroborata da fonti indipendenti”. La bufala del Niger, al contrario, va in orbita contro ogni evidenza. E quel giorno, dopo 26 anni di servizio a Langley, il capo delle operazioni coperte della Cia in Europa capisce definitivamente quel che sta accadendo: “Se una singola fonte, come nel caso dell’uranio nigerino, era pronta a confermare ciò che l’Amministrazione voleva sentirsi dire, era attendibile. Ma se accadeva il contrario, allora una singola fonte non era più sufficiente… La verità è che avevano deciso di fare la guerra all’Iraq. E doveva succedere. In un modo o in un altro”.
La dimostrazione arriva nell’autunno 2002. “Poche settimane dopo le rivelazioni alla Cia del ministro degli Esteri iracheno – annota la Cbs – a Roma, improvvisamente, appaiono i documenti che dovrebbero dimostrare che Saddam ha comprato uranio in Africa”. È una storia che conosciamo e che la tv americana ricostruisce ancora una volta attraverso le testimonianze dirette dei protagonisti. Rocco Martino (”Mi chiamo Rocco Martino. Martino di cognome. Rocco di nome”, si presenta lui ai microfoni della Cbs) li consegna alla giornalista di Panorama Elisabetta Burba che, con rigore e tenacia, dopo un viaggio in Niger, li verifica come falsi (”Falsi scadenti”, osserva con la Cbs). Copia dello scartafaccio, per decisione dell’allora direttore di Panorama Carlo Rossella, arriva comunque all’ambasciata americana in Italia, dove viene preso in consegna dal capo della stazione Cia di Roma. Riferisce Drumheller: “Il capo della stazione di Roma lavorava per me e parlammo di quei documenti. Non gli diede alcun credito. Mi disse: “È un falso. La storia non è vera””. Non è diversa la musica a Washington, dove quelle carte arrivano e dove non reggono all’esame del bureau di Intelligence del Dipartimento di Stato. “Un analista – riferisce la Cbs – annotò in una sua e-mail: “Potete notare che i documenti presentano un falso timbro nigerino (immagino per farli apparire ufficiali)”.
La bufala nigerina – come noto – verrà pubblicamente smascherata dall’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) nel febbraio del 2003, ma quel che l’inchiesta della Cbs oggi fotografa e conferma sono altre due bugie che hanno segnato l’affare e che Repubblica ha documentato lo scorso autunno con una lunga intervista ad Alain Chouet, ex numero due dell’intelligence francese, la Dgse. Due bugie dietro le quali, negli ultimi sei mesi, si sono protetti il nostro governo e il Sismi. La prima: che le notizie sull’uranio nigerino in possesso della Casa Bianca fossero state autonomamente acquisite dall’intelligence inglese sulla base di “altre” e “diverse prove” in possesso di Londra. La seconda: che dietro l’operazione di inquinamento dei documenti nigerini vi sia stata proprio la Dgse, alla quale Rocco Martino consegnò i falsi nell’estate del 2002.
Su entrambi i punti, Tyler Drumheller è netto. Abbiamo già visto come l’ex capo delle operazioni coperte Cia in Europa indichi senza esitazione in un rapporto del Sismi e non in informazioni francesi la fonte delle notizie in possesso di Washington (e abbiamo visto anche come la circostanza sia significativamente confermata anche dall’ex capo della stazione Cia di Parigi). Ebbene, con altrettanta nettezza Drumheller sostiene che le informazioni sull’uranio nigerino in possesso degli inglesi erano identiche a quelle che gli americani avevano ricevuto dagli italiani. Dunque che un’unica mano italiana aveva avvelenato Londra e Washington. Ascoltate il passaggio.
Domanda la Cbs: “La storia dell’uranio finisce nelle 16 parole del discorso dell’Unione…”. Drumheller: “Sì e a quel punto la faccenda si fa grossa”. Domanda: “Bush indica come fonte dell’informazione un rapporto dell’intelligence britannica”. Drumheller: “Sì, un rapporto britannico”. Domanda: “Vista la sua posizione all’interno della Cia, lei aveva il compito di sovrintendere tutte le operazioni dell’Agenzia in Europa”. Drumheller: “Esatto”. Domanda: “Ritiene che gli inglesi avessero qualche informazione sull’uranio che a quel punto voi non avevate?”. Drumheller: “No. Ritengo che gli inglesi non avessero nulla che noi non avessimo”.
La Casa Bianca ha lasciato cadere le richieste di intervista da parte della Cbs, affidando la replica ad una breve nota di Dan Bartlett, consigliere del Presidente. Si legge: “La convinzione del Presidente che Saddam Hussein possedesse armi di distruzione di massa si basava su un giudizio collettivo della comunità di intelligence all’epoca dei fatti. Indagini bipartisan non hanno trovato alcuna prova che dimostri una pressione politica per influenzare il giudizio sul programma di riarmo nucleare iracheno. Saddam Hussein non ha mai abbandonato quel programma e ha posto una seria minaccia agli americani e all’intera regione”. Sono poche parole di cui conviene annotare il passaggio più significativo. A circa sette di distanza dal discorso dell’Unione, la responsabilità della Casa Bianca per aver dato credito alla bufala nigerina non è più in capo a un rapporto dell’intelligence inglese, ma ad un “giudizio collettivo della comunità di intelligence”. Quale comunità? Solo quella americana? O anche quella dell’alleato italiano?
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