di Sergio Mauri
1.Quali sono gli elementi in comune tra i due romanzi “Una vita” e “Senilità”?
L’elemento principale che, secondo me, è in comune ai due romanzi è l’inettitudine dei protagonisti.
Il romanzo Una Vita, che inizialmente doveva intitolarsi Un Inetto, narra in terza persona la storia di Alfonso Nitti che si trasferisce a Trieste e si impiega in banca. Sogna di progredire socio-economicamente e di scrivere un romanzo di successo. Già da qui capiamo che la trama ha un rilievo, almeno parzialmente, autobiografico. Nitti cerca di sedurre Annetta, la figlia del direttore di banca dove lavora, scoprendo le rispettive inclinazioni letterarie e vuole scrivere con lei, che nutre pure delle ambizioni letterarie, un romanzo a quattro mani. Il protagonista ha l’ambizione di inserirsi nell’alta società e, inizialmente, non esita ad adattarsi ai voleri della ragazza. Tuttavia, si rende conto di perdere del tempo e di tradire il proprio sogno letterario e quindi cerca di abbandonarla. In un certo senso vuole continuare ad essere una vittima di sé stesso e della vita. Nitti è un personaggio debole che si auto-inganna. Lascerà Trieste con la scusa di un malore della mamma, liberandosi dal fardello rappresentato da Annetta. Tornato a Trieste, trova Annetta che si è nel frattempo impegnata con l’amico Macario, uomo deciso e sicuro di sé. Tenta di riconquistarla, ma viene sfidato a duello dal fratello di lei. Nitti si suicida per non morire nel duello.
In Senilità, originariamente Il carnevale di Emilio, anch’esso narrato in terza persona, il protagonista è Emilio Brentani, trentacinquenne che vive in una sorta di mondo emarginato e precocemente senile con la sorella. Ha un amico scultore di modesto successo, tale Stefano Balli (che in realtà era la trasfigurazione del pittore triestino Veruda, conosciuto da Svevo) che, però, contrariamente al caso di Emilio, ha successo in ambito sociale e amoroso. Emilio vorrebbe vivere la vita. Conosce Angiolina, bella e vistosa, ma di cattiva fama, con cui intrattiene una relazione. Tuttavia, Emilio non viene ricambiato dalla donna ed egli sublima questa situazione facendo diventare Angiolina, nella propria testa, una donna angelicata di stilnovistica memoria, o forse pure una tigre ammaliatrice di tipo dannunziano. Dell’amico Balli si innamorano sia Angiolina che la sorella Amalia che muore di crepacuore quando Emilio allontana da casa l’amico.
I protagonisti di entrambi i romanzi hanno una preparazione umanistica. In entrambi i casi vi è un suicidio e/o una morte di un inetto. Una Vita viene scritto in un momento difficile per Svevo, mentre Senilità risente di un miglioramento della vita dell’autore. Alfonso Nitti è un isolato, Emilio Brentani è abbastanza inserito nell’ambito sociale, ma in lui notiamo una certa confusione e ipocrisia. Si dice socialista, ma disprezza i proletari, si ritiene superiore alla morale comune, ma in realtà fa il perbenista. Crede di essere pessimista, ma ha solo paura della vita.
2.Nel capolavoro “La coscienza di Zeno” ci sono molti elementi che ricordano i due precedenti romanzi anche se c’è stata un’evoluzione nella forma e negli obiettivi. Spiega.
Tra i primi due romanzi e il capolavoro c’è, innanzitutto, un’evoluzione in termini di consapevolezza. Tutti i suoi personaggi sono inetti ed inadeguati. In Zeno la trama si svolge per eventi tematici e non ha alcun aspetto cronologico, contrariamente ai due romanzi precedenti. È, essenzialmente, la storia della nevrosi del protagonista Zeno Cosini. La spiegazione che do io dell’evoluzione nella consapevolezza è che mentre in Senilità e Una Vita i personaggi sono cristallizzati nella loro inettitudine, in La coscienza di Zeno, il protagonista guarisce dalla propria nevrosi rendendosi conto del fatto che è tutta la società che lo circonda ad essere malata, adeguandosi infine ad essa, accettando di farne parte. Inoltre, Svevo in Zeno abbandona qualsiasi riferimento naturalistico rispetto ai romanzi precedenti.
Risultano di importanza capitale, inoltre, nei 25 anni che distanziano la pubblicazione del capolavoro, alcuni accadimenti che hanno fortemente influenzato la vita e, appunto, la coscienza di Svevo: l’amicizia con James Joyce e il matrimonio con Livia Veneziani, che di fatto lo catapulta nell’ambiente alto borghese.
Emilio Brentani, in Senilità, è una specie di Andrea Sperelli, ma senza il lusso e la nobiltà. Sperelli, in qualche modo, anticipa Zeno. Nei primi due romanzi il narratore è esterno, mentre in Zeno è interno. Qui è la psicanalisi ad essere il perno del romanzo, ma non in senso celebrativo, quanto piuttosto in senso critico. La coscienza ha più significati: autoanalisi (in senso psicanalitico), consapevolezza di sé, senso morale. I primi due capitoli sono, similmente al Fu Mattia Pascal, introduttivi. Nel primo abbiamo il dottor S., psicanalista di Zeno, che dice di aver deciso di pubblicare l’autobiografia di Zeno, scritta a scopo auto-terapeutico per vendicarsi dello stesso che non fa più terapia. C’è poi il preambolo in cui Zeno dice di voler ricostruire i ricordi e i sogni che possono in qualche modo aiutare il dottor S. nella sua cura. Abbiamo, quindi, i cinque capitoli centrali del romanzo: Il fumo (sugli atti mancati), La morte di mio padre (rapporto tra vecchio e nuovo mondo), Storia del mio matrimonio (in cui si ravvisa un collegamento con Le vergini delle rocce di D’Annunzio, in cui il protagonista cerca la donna ideale fra tre sorelle, per concepire un figlio-superuomo, mentre in Svevo il matrimonio è uno strumento di elevazione sociale), La moglie e l’amante (rapporto conflittuale di Zeno col mondo femminile), Storia di un’associazione commerciale (gli affari come terreno di scontro, di competizione e vendetta, ma anche auto-inganno). Questi capitoli sono l’autobiografia terapeutica di Zeno; qui Svevo organizza il tempo della narrazione in modo soggettivo, un po’ come D’Annunzio nel personaggio di Andrea Sperelli. La cronologia, parzialmente presente a livello soggettivo in Sperelli, con Zeno salta completamente.
Vi è, infine, il capitolo sulla psicanalisi, a sé stante, scritto in ordine cronologico, che tratta del periodo 1915-1916, quando siamo già in piena guerra mondiale. Il finale apocalittico certifica l’insanabilità dell’essere umano.
3. I protagonisti sveviani sono degli INETTI. Spiega.
Alfonso Nitti ed Emilio Brentani sono certamente degli inetti, persone inadeguate a vivere in un mondo che, tuttavia, è privo di quel senso etico che noi spesso ci affatichiamo a dargli. L’inadeguatezza, perciò, è un concetto abbastanza relativo in questo contesto. Che, tuttavia, Svevo sostiene, proprio come critica della società borghese di cui, suo malgrado, fa parte. Comunque, mentre i due personaggi di cui sopra, sono certamente degli inetti irrecuperabili e cristallizzati nelle loro caratteristiche, Zeno è un inetto che, sciogliendosi nel calderone della malattia sociale generalizzata, finalmente si normalizza ed in un certo senso si salva.
4. Trovi che ci siano dei punti in comune tra la produzione letteraria di Svevo e di Pirandello? Quali?
Si, trovo ci siano dei punti in comune. Il contesto comune ad entrambi è la nascita della psicanalisi e la teoria della relatività che ci dicono come la realtà non sia perfettamente conoscibile. Svevo scrive di personaggi drammaticamente incapaci di realizzarsi nella vita. Pirandello scrive dell’impossibilità di farsi un’idea stabile della realtà e dell’inquietudine conseguente. Svevo è consapevole che il tentativo di determinare gli eventi è fallimentare. Pirandello è cosciente della frantumazione dell’io che si manifesta nella mancanza di un’identità precisa e della relatività della conoscenza.
Inoltre, sia Svevo che Pirandello fanno parte di quelle borghesie sconfitte e post-unitarie che subiscono l’unificazione che spesso ha significato, in Sicilia prima e nei territori ex-asburgici redenti poi, abdicazione ad altri interessi, perdita di centralità e di capacità patrimoniale, riciclo identitario nel nuovo contesto unitario, centralizzato nel settentrione italiano industrializzato.
Possiamo, però, indicare anche altri tratti in comune tra i due.
Entrambi gli autori conoscono il tedesco e la cultura mitteleuropea; entrambi rompono con la tradizione naturalistica iniziale, poiché si accorgono che la vita è un teatrino e comunque che la realtà è un prisma; entrambi soffrono dell’iniziale incomprensione del pubblico, nel caso di Svevo questa arriva fino ai tardi anni ’60 del ‘900; entrambi hanno un substrato culturale nel dialetto.
5. Il narratore sveviano è INATTENDIBILE: Cosa vuol dire?
Inattendibile vuol dire che non dice la verità, non la conosce, sa di non poterla determinare e dunque essere attendibili sarebbe un’inutile fatica. Essere inattendibili significa, inoltre, essere irriducibili rispetto ai compiti e alle regole della società borghese con i suoi riti, ritmi di vita, miti e idoli.
6. Perché Zeno è un INETTO? Fai degli esempi prendendo a riferimento il testo a pag.470.
Ad esempio, ne Lo schiaffo del padre, Zeno si dimostra in preda a continui sensi di colpa che ne fanno emergere l’inadeguatezza. Sensi di colpa, pensieri ricorrenti e retropensieri emergono ad ogni occasione nella mente del protagonista. Nell’episodio in esame, egli presume che la mano alzata del padre che vuole toccarlo, sia l’ennesima reprimenda, l’ennesima dimostrazione che lui, Zeno, è un incapace, non all’altezza della situazione. Ma la mano del padre può essere stata alzata dal padre stesso per avere un contatto col figlio, per salutarlo sul punto di morte, per dimostrargli il proprio affetto. Il senso di colpa di Zeno appare qui più come un lapsus che altro. Un retropensiero ricorrente che ne dimostra il dolore morale.
7. Qual è la causa profonda della malattia di Zeno?
La causa profonda della malattia di Zeno risiede in un complesso edipico non risolto, che tuttavia viene descritto tecnicamente come nevrosi. La malattia però può anche essere alibi, maschera (Pirandello), dietro la quale ammutinarsi, nel bene (liberarsi da inutili formalità sociali) come nel male (evitare di prendersi delle responsabilità verso sé stessi e gli altri).
8. Perché la scrittura sveviana è considerata da molti critici “sciatta e disadorna”, anche se “efficace”?
La scrittura sveviana è disadorna poiché l’autore proviene dal mondo germanico e dalla sua lingua. Probabilmente avrà conosciuto l’yddish e forse lo avrà anche parlato da piccolo. L’italiano, per lui, è una lingua acquisita ed il dialetto triestino che egli sicuramente praticava, è ciò che c’è di più vicino e consonante con la lingua italiana. Poi, certamente, una certa inclinazione per la scrittura asciutta e senza fronzoli, comune a molti autori europei. La sua scrittura è efficace perché raggiunge l’obiettivo che si prefigge nella narrazione.
9.Quali sono le considerazioni di Svevo sulla PSICOANALISI?
Secondo Svevo la psicanalisi è un ottimo strumento di conoscenza ed indagine dell’interiorità dell’uomo, di quella parte in ombra che di solito occultiamo pure a noi stessi. Tuttavia, egli pensa non sia uno strumento valido a guarire le nevrosi o i problemi psichiatrici delle persone, poiché pensa che i nevrotici, alla fine sono coloro per i quali la nevrosi è non-rassegnazione dell’individuo ai meccanismi della società. All’efficienza di un meccanismo perverso preferisce contrapporre il dilettantismo e l’inettitudine.
10.Quali sono le considerazioni finali del capolavoro?
Le considerazioni finali del capolavoro sono di tipo escatologico, s’interrogano sul presente e sul futuro dell’umanità. Zeno-Svevo, presa coscienza della malattia in cui versa l’umanità e dell’inutilità di interrogarsi sulla propria malattia, goccia in un mare buio, pensa sia possibile e probabile un esito nefasto della nostra storia in quanto specie vivente. Egli, vissuta la Prima guerra mondiale, con il corollario di tragedie, malattie, fame e morti, immagina che l’umanità, per mano di un uomo “normale”, come chiunque (parafrasando un noto adagio, invertendolo) è normale quando è visto da lontano, possa un giorno, non molto lontano, scomparire a causa di un ordigno di potenza tale da cancellare la nostra presenza sul pianeta terra. Noi, specie umana, come diceva il comico e musicista statunitense Bill Hicks, riferendosi alla nostra specie, “virus con le scarpe”…e mai come ora citazione fu più centrata.
11.Quali sono gli elementi più importanti che emergono?
Gli elementi più importanti che emergono sono: 1) l’uomo Italo Svevo; 2) le sue opere;3) il capolavoro in cui convergono le due opere precedenti.
- le sue radici culturali nella Mittel-Europa, nel darwinismo, nel pessimismo schopenhaueriano, in Nietzsche, in Freud. La sua difesa della malattia come resistenza al conformismo, all’alienazione e al male di vivere e della letteratura come salvezza di vita e sanità mentale, forse vera terapia, verificabile da chiunque si sia cimentato con la scrittura.
- I romanzi Una Vita e Senilità, antecedenti o in prossimità del matrimonio che quasi spegnerà la sua vena letteraria per un paio di decenni, in cui i protagonisti sono degli inetti, degli incapaci a vivere pienamente e ad affermarsi nella vita reale (ci sarebbe da approfondire questi concetti, comunque, nel senso di cosa è, cosa implica, quanto costa l’affermazione di sé stessi) e, tuttavia, cristallizzati in questo loro essere incapaci di vivere.
- Ne “La coscienza di Zeno”, in cui l’inettitudine, i sensi di colpa e il complesso edipico irrisolto del protagonista, fanno da corollario alla non-cristallizzazione del personaggio che si risolve nella moltitudine ammalata divenendone parte, nell’attacco alla psicanalisi e ad un senso della vita finalmente riappacificato, ma altamente pessimistico.
12. Perché Svevo è ancora un autore estremamente attuale?
Egli è ancora attuale nella misura in cui parla del rapporto che intratteniamo con noi stessi ed il mondo che ci circonda, quindi con gli altri da noi che sono sempre anche gli altri in noi. Proverò a spiegarmi meglio riassumendo un po’ tutto ciò che ho scritto sinora.
Svevo fu uomo complesso ed antivedente, figlio di una cultura e cittadino di una Trieste che non ci sono più. Per capire, almeno parzialmente, cos’è stata Trieste, anni fa lessi un libro della storica Anna Millo “Le élites del potere a Trieste. Una biografia collettiva 1891-1938”. Svevo apparteneva a quella élite, da persona che iniziava a percepire i grandi cambiamenti che sarebbero occorsi di lì a poco. Egli visse la sua maturità in piena Belle Époque, l’epoca dell’irruzione delle masse nella storia, della prima globalizzazione, del progresso tecnico. Nel nostro Borgo Teresiano ci sono ancora dei palazzi che testimoniano di quell’epoca ed ogni qualvolta apriamo uno di quei portoni ci sentiamo catapultati in quel tempo.
Svevo tentò, per molti anni, in quel contesto, di affermarsi come scrittore, venendo spesso denigrato o semplicemente ignorato. Voleva affermarsi come scrittore perché come scrittore poteva esprimere, affermare una verità, una visione del mondo che il suo ruolo di appartenente all’alta borghesia imprenditoriale non gli permettevano.
Sintomatico il fatto che fu riconosciuto come scrittore di valore solo alla fine degli anni ’60 del secolo scorso. Ho fatto delle ricerche sulla stampa della nostra città e ho appurato che la stessa lo ha a volte sterilizzato, non parlando veramente in profondità di Svevo, oppure, come nel caso dello scrittore Boris Pahor, criticato per non aver scritto in tedesco, sua lingua madre. (Il Piccolo, 16/02/2012). Inoltre, a conferma dello snobismo con cui lo trattavano i suoi contemporanei, nel libro di Renato Minore “La promessa della notte”, Donzelli Editore, c’è un’intervista inedita a Carolus Cergoly, poeta triestino ed ultimo testimone della Trieste mitteleuropea che conobbe sia Svevo che Joyce.
Dagli articoli e scritti pubblicati si evince che Svevo agì in un certo modo per convenienza, già sposandosi con una donna di casa Veneziani. Dobbiamo, però, ricordare che gli ebrei prima e durante il fascismo, necessitavano di legittimazione da parte della classe dominante che, allora, era di lingua italiana. Quello di Svevo era certamente un temperamento incline al compromesso, tuttavia non particolarmente simpatico nemmeno a coloro con cui si era compromesso, forse perché vissuto come un intruso, uno scomodo testimone di un’epoca di ben altre grandezze come quella asburgica. Nonostante l’abiura religiosa ed il gioco identitario non fu apprezzato per lungo tempo. Svevo era, come già accennato, un rappresentante della borghesia imprenditoriale triestina; era stato e si era irregimentato in un partito politico come quello liberal-nazionale senza particolari entusiasmi. Il suo ruolo sociale era rigido, non prevedeva libertà espressive, non poteva permettersi ammutinamenti se non con la scrittura. E fu lì che indirizzò le proprie inquietudini, dubbi e il male di vivere che sentiva. Per la nostra fortuna di lettori.