Oggi il sistema cooperativistico, da solo, è in grado di produrre un PIL vicino al 10 % di quello nazionale. Un settore importante ormai. Se ne parla, di questi tempi, anche in un senso negativo, come nel caso del libro di Antonio Amorosi, COOP CONNECTION. Spesso per responsabilità interne del sistema stesso che, nella foga di raggiungere i risultati a tutti i costi, si scrolla di dosso ogni tipo di scrupolo. Oggi pubblico alcuni stralci da “Il Sabato”, giornale basilare soprattutto negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, giornale che oggi non c’è più, per ragionare sulle origini di quei legami, di quelle connessioni iniziate, magari, in maniera più o meno chiara e pulita, ma poi autodegradatesi anche a causa della difficoltà di affrontare il mercato in Italia. Un mercato non particolarmente all’avanguardia o semplicemente aperto.
Il Sabato, 13 aprile, 1991, Giovanni Cubeddu:
Cooperare non stanca.
No all’ideologia. Si alla collaborazione. Soprattutto con i cattolici. Lanfranco Turci spiega la svolta della Lega delle Cooperative.
[…] Gli oltre ottocento delegati delle cooperative aderenti alla Lega nazionale delle cooperative e mutue si sono riversati al Palazzo dei congressi dell’EUR per il loro 33° congresso: “Cittadini nell’economia e imprenditori nella società”. Il “gigante rosso” dell’economia, con 11187 imprese associate operanti in tutto il territorio, 3.134.400 soci e oltre trentamila miliardi di lire di fatturato, si appresta a saltare il fossato dell’ideologia e punta ad una nuova stagione di relazioni, in economia e in politica. […] Lanfranco Turci, presidente della Lega, cinquantenne pidiessino, che all’interno degli schieramenti post comunisti è considerato “più che migliorista” […] la simpatia verso la cooperazione cattolica, la rivoluzione del “capitalismo popolare”. […]
Io credo (Lanfranco Turci, ndr.) che il punto vero è che c’è una convergenza profonda tra le diverse anime politiche della Lega su questo cambiamento di fondo, che la Lega in questi anni ha avviato […] . Questa unità non è il frutto di piccoli accordi di vertice, come ad esempio l’istituzione di una seconda vicepresidenza repubblicana (oltre quella socialista già esistente, ndr.) o accordi tra le componenti. […] C’è invece nel corpo della Lega la consapevolezza che siamo in una fase di svolta di tutto il movimento cooperativo italiano, nei termini di un salto imprenditoriale nuovo, di un più marcato protagonismo delle nostre imprese, di un modo di ripensare i rapporti tradizionali tra sindacato ed imprese. […]
Pensiamo cioè a quanto una cooperazione così ridisegnata può offrire al Paese: l’alleanza tra le piccole e le medie imprese su tutti i temi del mercato finanziario, i temi dello Stato sociale. E’ la convergenza su queste tematiche di fondo che fa parlare di un clima positivo all’interno della Lega. […]
Ma torniamo un attimo al libro di Amorosi. Citiamo alcuni paragrafi a dir poco interessanti dell’articolo di Sandro Moiso su Carmilla:
[…] Antonio Amorosi, coautore nel 2008-2009 del libro «Tra la via Emilia e il clan» sulla presenza della criminalità organizzata in Emilia Romagna, 1 è stato assessore alle politiche abitative del Comune di Bologna per la giunta Cofferati tra il 2004 e il febbraio 2006. Ruolo da cui si è dimesso dopo aver denunciato2 un sistema illecito nelle assegnazioni delle case popolari del Comune di Bologna. Da anni si dedica al giornalismo di inchiesta e collabora con diversi quotidiani, riviste e radio nazionali.
Occorre qui subito dire che, nel prendere in mano il libro, il lettore si troverà davanti a pagine dense (a volte fin troppo) di dati, nomi, fatti e cifre che rendono il testo paragonabile ad una sorta di Gomorra delle attività lecite o meno della struttura economico-finanziaria sviluppatasi intorno a quel sistema di governo che ha fatto dell’Emilia Romagna, soprattutto, la vetrina della proposta sociale e politica di quello che è stato, prima, il più grande Partito Comunista dell’Occidente e, poi, il successivo PDS-DS-PD.
L’analisi copre soprattutto il periodo che va dagli anni ’80 ai giorni nostri, ma per fare ciò l’autore non può esimersi dal lanciare uno sguardo sul mondo delle Coop rosse e bianche fin dal secondo dopoguerra e nel corso dei decenni successivi. Ricostruendo un percorso che inizia con la “conquista” di Legacoop da parte di Guido Cerreti, voluto alla sua presidenza dal Segretario del PCI Palmiro Togliatti nel 1947.
Altro paragrafo interessante sui rapporti tra partito e Coop, un pò oltre:
[…] Quello che salta però agli occhi è che dall’iniziale controllo del Partito sulle Coop e le altre attività associate si è passati ad una sorta di controllo delle Coop sul Partito. Tanto che, ancora e soprattutto oggi, molte beghe interne al PD, travestite sapientemente da scontro tra dirigenza e minoranza, altro non sembrano riguardare che uno scontro tra differenti fazioni all’interno del mondo delle cooperative. […]
Che cosa rimane in piedi degli ideali fondativi del sistema cooperativistico?
E’ chiaro che degli ideali socialisti e di mutuo soccorso che avevano accompagnato la formazione di cooperative di produzione e distribuzione all’interno del movimento operaio dell’Ottocento è rimasto poco o nulla. E quel poco e nulla rimane soltanto a livello di facciata, così come il richiamo ai valori della Resistenza. Questi ultimi, soprattutto, presenti se possono servire a dimostrare che qualche importante rappresentante (ad esempio Oscar Farinetti di Eataly) ha avuto rapporti famigliari e/o di Partito con protagonisti del mondo partigiano.
Tutto ciò porta alla constatazione che anche le Coop sono una lobby con degli interessi da difendere ed espandere come una qualsiasi altra impresa del capitalismo moderno? Troppo semplice….e non esaustivo.
In realtà, però, lo scambio di favori tra aziende della grande distribuzione, banche di credito cooperativo, cooperative di servizi e cooperative di produzione (soprattutto del settore edilizio) e mondo politico ha finito quasi col determinare i programmi politici e le priorità economiche di quasi tutti i governi degli ultimi anni. Dalle Grandi Opere al Jobs Act, dalla gestione dell’”emergenza immigrazione” al salvataggio delle banche attraverso la rovina dei piccoli risparmiatori, dalla raccolta ed eliminazione dei rifiuti urbani e tossici all’organizzazione dei servizi alla persona, tutto sembra essere determinato da ciò che il modo della cooperazione ritiene prioritario.
Inoltre:
C’è però anche un altro aspetto che Amorosi sottolinea con insistenza ed abbondanza di particolare e di dati: la stretta connessione, che l’inchiesta Mafia capitale sembra aver per la prima volta disvelato, tra attività svolte da cooperative e criminalità organizzata sul territorio, anche se le interconnessioni tra mondo delle coop e mafie sembrano risalire, a detta del testo in questione, almeno dalla fine degli anni ’50, soprattutto nel settore dell’edilizia.
La cosa che forse infastidisce di più ha a che fare con la narrazione dominante che il mondo Coop è riuscito a propagare all’esterno:
Ma a cosa è dovuta la forza dello storytelling teso a giustificare ogni scelta delle consociate di Legacoop? Sintetizzando,in una sorta di “noi siamo i buoni”, quelli responsabili, impegnati nel sociale, che agiscono soltanto in base a nobili principi e ideali. Quei “Buoni” che Luca Rastello, nel suo ultimo, straordinario romanzo di denuncia aveva così umanamente e lucidamente stigmatizzato.4 E il riferimento al libro di Rastello non è casuale poiché anche l’associazione Libera di Don Ciotti fa parte della galassia derivata dall’universo coop.
C’è del marcio in Emilia, non solo in Danimarca. Dove la criminalità organizzata ha già stabilito le proprie basi.
Un mondo dove i legami politici, sia a destra che a sinistra, servono a garantire appalti e leggi tagliate su misura sulle necessità e sull’impellenza, ma soprattutto sulle pretese finanziarie, di una componente avida e spregiudicata dell’economia nazionale.
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