Ben 500 anni prima di Cristo, Confucio diceva di “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”, mentre 2600 anni prima di Cristo, il concepimento di Huang Di, l’imperatore Giallo, avvenne per mezzo di una luce fecondatrice. Una sorta di immacolata concezione.
Sembra che non abbiamo inventato nulla e se pensiamo che furono i Veda ad inscrivere non solo sulla pietra, ma nella loro cultura il rifiuto di ogni violenza, in cui l’imperatore Ashoka ammette il pentimento per la guerra compiuta, allora ci rendiamo conto che siamo solo gli ultimi arrivati – o nemmeno tali – in una lunga sequenza di fatti di peso riguardanti la nostra specie. Non solo. Tanto per fermarci ai Veda, essi riuscirono ad avvicinarci all’origine del pensiero, al senso della coscienza e dell’esistenza. Un pensiero forse irraggiungibile, quello dei Veda, fisiologico, corrispondente alle funzioni elementari del corpo. Il respiro, ad esempio, un modo attraverso cui noi siamo collegati al mondo, da cui prendiamo la vita è, anzi può essere, aggiogamento del pensiero che a sua volta aggioga il corpo. Cercarono quel punto, quel luogo, il punto dive nasce la coscienza, con coerente ostinazione e semplicità.
Noi occidentali, al contrario, ci siamo soffermati poco su questo punto. La parola coscienza (coscienza di sé e del mondo, coscienza di essere vivi) arriva tardi nel nostro lessico, solo a fine Seicento. E questa coscienza è una coscienza grande nella conquista del mondo esterno ed esteriore, non certamente dell’interiorità.
L’imperatore Ashoka disse che si dovevano non solo rispettare tutte le religioni, ma diffonderle perché questo avrebbe aiutato la propria religione. E che tutti i sacrifici di esseri viventi erano vietati. Cose che nessuno ha mai avuto il coraggio di dire, tantomeno oggi. I Veda poi confluiranno nell’Induismo che, a sua volta, genererà il Buddhismo.
Tuttavia la cosa forse ancor più interessante è che quei gesti che vanno all’origine della coscienza, in parte sono ancor oggi presenti nell’Induismo, certo attraverso una serie di mediazioni, quando centinaia di milioni di indiani li ripetono quotidianamente. L’esatto contrario di ciò che noi abbiamo fatto con la nostra cultura precristiana, greco romana da una parte, ma pure con il cristianesimo delle epoche più remote.
Se la forza di una cultura si misura sulla sua capacità di resistere allo scorrere del tempo, allora possiamo giudicare con grande facilità la situazione in cui ci troviamo.
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