Dunque
nella gioiosa decadenza che mi circonda
compio gli atti della mia salvezza.
Nell’egoismo dell’ultimo ditirambo cantato con i fratelli
ritrovo il nesso per spiegarmi chi sono,
nuovo baricentro di coscienza,
di cui immagini e parole non sono che propaggine guerriera,
codice di una religione rivelata solo a me.
Di questi cippi abbandonati,
vuoti alibi di una storia fuggita via,
posso solo fare galleria di emozioni immaginate,
mai vere,
mai vissute.
Le vie grigie, le strade sbrecciate,
testimoni di un nulla catacombale che opprime le mie spalle,
alzano il loro monito – incompreso – verso chi danza ancora,
con dionisiaco fervore,
incapace di guardare al mondo che gli si inabissa innanzi.
Scelgo la penna e parole non piatte, tuttavia meridiane,
che rivolgo a fratelli che forse non ci sono più.
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