Il sindacalismo di base.

Sindacalismo di base
Sindacalismo di base

Il sindacalismo di base, conflittuale, (USB, COBAS) che io penso sia un bene esista, tenta di sopperire alle mancanze di una rappresentatività politica del mondo del lavoro, del mondo dei subalterni. Questa cosa è in atto già da tempo, complice anche il “tradimento” (più o meno vero o presunto esso sia) dei sindacati confederali che, certamente, hanno una buona dose di responsabilità nella nascita stessa di questo tipo di sindacalismo “alternativo” e “di base” che è conflittuale, certo, ma la cui presa ed incisività nel tessuto sociale italiano è ancora tutta da vedere.

Quest’ultima frase la voglio spiegare meglio dicendo che i COBAS, da oltre 20 anni sulla scena, non hanno veramente modificato il corso dello scontro sociale in atto lungo il periodo citato, perché l'”offensiva capitalista” è continuata, tra alti e bassi, ed ha conseguito i successi che ha ottenuto non perché mancava il sindacato conflittuale, ma proprio perché è mancata la politica, una visione politica e non meramente sindacale, dalla parte dei subalterni. A questa affermazione si potrà obiettare che “non eravamo in molti”, “abbiamo fatto quello che si poteva fare”, “i nostri avversari sono sempre stati più forti”, tutte cose verissime, ma io penso sia in verità mancata una dimensione politica allo scontro che un sindacato non può dare.

Inoltre, la fuga nell’economicismo invece che il ritorno alla politica è stata controproducente ed abbastanza fallimentare. È stato impossibile, come previsto, sopperire alle mancanze, alle sconfitte, alle pusillanimità della politica, velleitariamente dalla parte degli sfruttati, dei lavoratori, alla mancanza di un’organizzazione che, dopo la caduta del Muro, in qualche modo riuscisse a svolgere un ruolo di contenimento all’offensiva globale antioperaia (dettata da una necessità economica, non morale) in atto. E non poteva essere altrimenti. Il sindacato, infatti, non è un Partito politico, non fa politica, non elabora strategie immediate o storiche, non può sostituirsi ad un Partito e, anche se lo volesse fare, come è stato per i COBAS e – prevedibilmente – lo sarà anche per l’USB che sta svolgendo più o meno lo stesso ruolo, verrebbe sconfitto. Forse anche evidenziando qualche inevitabile, sfortunata piccolezza e miseria che dobbiamo sempre mettere in conto, visto che nessuno è perfetto. Vorrei, ora, analizzare un po’ più seriamente la questione, premettendo che ritengo che il sindacalismo extra-confederale sia oggettivamente meno incline al compromesso in confronto a quello confederale. Su questo non ho dubbi e testimonia del valore che do a quella esperienza sindacale e qualcuno forse ci vede pure un’organizzazione rivoluzionaria in nuce.

Tuttavia, dobbiamo ricordare che il sindacato non è mai stato un organo rivoluzionario. Facciamo un po’ di storia:

a) negli anni ’20 del secolo scorso, quando ancora c’erano i comunisti, quest’ultimi potevano (permettersi di) pensare ad una ipotesi di direzione rivoluzionaria dei sindacati (da conquistare) sulla base della natura di massa del Partito (di riferimento) e comunque del suo radicamento nella classe lavoratrice, anche in situazione di relativa pace sociale, maggiore di quanto sia oggi possibile. b) il rafforzamento del dominio ideologico del sistema capitalistico sulla società, al di fuori dei periodi obiettivamente rivoluzionari, ha chiarito definitivamente che la conquista dei sindacati da parte dei rivoluzionari non è possibile. c) anche nei periodi futuri di lotta sociale, quando i lavoratori, rompendo le barriere sindacali, affronteranno lo scontro con il sistema, lo faranno creando i propri organismi, i più adeguati (assemblee generali, consigli, ecc.) e abbandonando appunto i sindacati. d) se è vero (sempre) che il Partito che rappresenta gli interessi dei lavoratori può guidare “la rivoluzione” alla sola condizione di essere alla guida politica degli organismi di massa dei lavoratori stessi, ebbene questi non sono i sindacati (né in questo senso lo sono mai stati), ma i consigli dei lavoratori o come altro li si voglia chiamare o si chiameranno. e) come la Polonia dimostrò a suo tempo, e per quanto ci fossero dietro la CIA e il Vaticano, il momento in cui questi organismi di massa si trasformano in nuovi sindacati, questo segna la sconfitta del movimento di lotta, o di quella fase e il ritorno, per quanto temporaneo, del dominio della ideologia capitalistica. g) il lavoro nei sindacati, spesso comunque possibile, si rende necessario sul piano tattico per assicurare la circolazione delle idee e delle prese di posizione di coloro che vogliono cambiare lo stato di cose presenti e per l’aggancio dei militanti passibili di una influenza in tal senso, ma nella prospettiva di un affossamento del sindacalismo. La fase evolutiva presente è caratterizzata dalla impossibilità di organismi permanenti di difesa degli interessi immediati (economici) della classe lavoratrice. Per coloro che vogliono cambiare lo stato di cose presenti è finita l’epoca fortunata in cui avevano un luogo fisso dove lavorare a partire dalla difesa economica degli operai, che era il sindacato. Oggi i lavoratori esprimono volta per volta, quando è indispensabile, gli organismi di lotta economica nei quali chi vuole cambiare le cose deve essere presente. Tali organismi finiscono con la lotta stessa; se sopravvivono diventano sindacatini più o meno stupidi, comunque senza la massa lavoratrice che interessa i rivoluzionari. Gli organismi politici che invece un Partito crea all’interno di queste organizzazioni di massa, devono invece continuare il loro ruolo politico e la propria vita organizzata per essere presenti alle nuove ondate di lotta in posizione di stimolatori e dirigenti politici dei nuovi organismi di lotta. Lo schema strategico ideale consiste infatti nella moltiplicazione di queste esperienze di lotta di massa nel tempo e nello spazio a cui si accompagna una crescita della capacità di lavoro politico delle forze di cambiamento. La generalizzazione della organizzazione di massa negli organismi economici sposta il terreno dell’azione possibile dal piano economico al piano direttamente politico. La possibilità teorica diventa reale se e quando un Partito è sufficientemente radicato coi suoi strumenti politici tra i lavoratori. Non è credibile la possibilità che questa situazione maturi da una progressiva crescita della stessa, piuttosto che sia “necessario” un primo scontro materiale dovuto ad una obiettiva generalizzazione delle esperienze di lotta dei lavoratori, pur senza la loro organizzazione politica, che si concluderà con una generale sconfitta economica, ma che aprirà la strada ad una vera ripresa del programma rivoluzionario tra i lavoratori e una vera ripresa di crescita delle organizzazioni legate al programma di cambiamento stesso. La base numerica ed organizzativa delle forze di cambiamento non è sufficiente perché 20 “Polonia ’80” e 25 scioperi dei minatori inglesi, tanto per fare un pò di storia, portino ad una tale estensione di un Partito e dei suoi strumenti operativi tra i lavoratori da rendere possibile un ipotetico “assalto al cielo” appena tutte le categorie entrano in lotta. Ma gli scioperi e le esperienze di lotta di oggi devono essere l’ambito in cui le debolezze del cambiamento maturano sino a garantire la loro presenza, seppure minoritaria, nel prossimo “1905”, perché questa è la condizione affinché possano iniziare a crescere subito dopo. Riassumendo, la sfida è costruire una organizzazione politica che si possa interfacciare con queste esperienze sindacali, confederali incluse.

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About the Author

Sergio Mauri
Blogger, autore. Perito in Sistemi Informativi Aziendali, musicista e compositore, Laurea in Discipline storiche e filosofiche. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d'Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014, con PGreco nel 2015 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 e Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023.

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