di Sergio Mauri
Qual è l’eredità della Rivoluzione d’Ottobre? A cent’anni di distanza da quel formidabile evento, al tempo stesso esperimento di ingegneria sociale, che cosa resta di quell’esperienza? Prima di ragionarci su, apro una parentesi.
Il compito di smerdare il ricordo della Rivoluzione d’Ottobre, come da copione, è stato affidato ai rinnegati, agli ex-comunisti. Il principe di costoro, Paolo Mieli, conduce un’ineffabile spazio TV su RaiStoria, con ospiti attenti a non svicolare mai dal solco smerdatorio, tanto per rendere più completa l’operazione propagandistica. Nessuno, infatti, ricorda gli atti militari (criminali) e politici compiuti dall’Occidente, Italia compresa, all’indomani della rivoluzione, a cominciare dall’invasione della Russia sovietica, mentre gli operai dei rispettivi paesi occidentali occupava fabbriche, issava bandiere rosse, manifestava il proprio entusiasmo.
Eppure, il padre di Paolo Mieli studiò pure a Mosca, inserito ai livelli più alti della dirigenza comunista italiana, ottenendo da Togliatti la direzione milanese dell’Unità. Partecipò attivamente alla costruzione di quella politica. A sua insaputa? Impossibile, ovviamente. Cambia poi casacca e crea, finanziato da Confindustria, il Centro ricerche economiche e sociologiche dei paesi dell’Est, (Ceses), organizzando seminari e convegni assieme ai sovietologi occidentali. Cambiare casacca: lo sport italico preferito. Lo stesso Paolo fu estremista di sinistra. Non c’è peggior reazionario di un “rivoluzionario” pentito.
Ma torniamo al tema, cioè all’eredità della Rivoluzione d’Ottobre. Molti credono che lo Stato Sociale sia uno di questi. Non credo, esso concerne veramente poco la questione, essendo una costruzione del mondo capitalista, funzionale al suo sviluppo e conservazione. Di cui – certamente – anche gli operai hanno usufruito. Potremmo piuttosto dire che il campo socialista è riuscito nell’intento di preservare certe conquiste operaie, mediate con una controparte disponibile al compromesso, rappresentando uno spauracchio per il mondo capitalista. Questo si. E certamente la presenza del campo socialista ha permesso che le classi subalterne e i popoli oppressi in tutto il mondo avessero dei margini di manovra superiori a quelli attuali. Un mondo in cui si potevano ancora cambiare le cose.
Secondo me, tuttavia, ed in accordo con la tesi del professor Luciano Canfora, la vera eredità dell’Ottobre, una volta stoppate le rivoluzioni ad Occidente col sangue e la reazione politica nazifascista, è stato il processo di decolonizzazione che ha il suo antefatto, lo snodo politico di partenza, al Congresso di Baku del 1920. La liberazione dei popoli oppressi e massacrati dall’imperialismo e dal colonialismo occidentali, che ha operato lungo tutto il ‘900 è l’eredità più chiara della Rivoluzione d’Ottobre, la dimostrazione che un popolo oppresso può liberarsi e costruire il proprio destino. Ecco qui un breve spezzone del Congresso:
Basti veder l’Asia e l’Africa contemporanei che – nonostante tutte le contraddizioni – non sono più tornate all’epoca dell’insignificanza storica ed economica cui erano state relegate. Basti vedere la Cina, espressione della più grande rivoluzione anticoloniale, antimperialista e socialista di tutto il globo!
Vi sono, poi, anche altre eredità, incentrate sulla scienza e strategia politica. Ovvero: la coscienza che una rivoluzione sarà sempre osteggiata e circondata, repressa sanguinosamente in ogni circostanza. I settant’anni di durata del blocco sovietico sono un vero miracolo, sotto questo aspetto. Questi fatti, entrati ormai nel bagaglio di esperienze politiche di coloro che rappresentano i subalterni, impone delle serie riflessioni e prese in carico di responsabilità su come dovrà essere il prossimo assalto al cielo.
Be the first to comment on "L’Ottobre Rosso, cento anni dopo."