di Sergio Mauri
Difficile è trattare di un argomento del genere, soprattutto perché parliamo di una persona vissuta circa 750 anni fa. Sull’argomento è stato scritto molto ed in questo senso utilissime sono state le fonti archivistiche giunte fino a noi. Tuttavia, ci proveremo, cominciando a tratteggiare alcuni degli aspetti della sua vita e dell’epoca in cui è vissuto.
Dante nasce e vive in una Firenze piuttosto frizzante, nell’epoca dello sviluppo della borghesia commerciale, delle professioni, ma anche di quella intellettuale. Un processo storico nel quale la Chiesa, tuttavia, riesce ad essere parte integrante del meccanismo/processo, contribuendo anzi attivamente allo sviluppo ed all’affermazione del primo capitalismo, attraverso il sostegno ecclesiastico per la penetrazione nei mercati europei.
L’epoca vede anche una crescente rivalità fra le famiglie locali anche nella forma di contrasti ricreatisi all’interno della parte guelfa, contrasti che porteranno anche a scontri aperti. Ricordiamo che Dante è un ex-ghibellino, passato poi ai guelfi bianchi che cercavano un compromesso tra l’autorità imperiale e quella papale, contrapposti ai guelfi neri che invece miravano all’assoluto comando della Chiesa sulla società. Dante, quindi, si inserisce in pieno in questo processo di prima emancipazione politica della borghesia locale, riflesso del suo svilupparsi sul terreno prettamente economico.
Passa un breve periodo a Bologna, presso l’Università (a Firenze non c’era, ma vi era uno Studium) dove conosce Guido Cavalcanti, altro nome importantissimo per la lirica italiana.
Approfondisce le tematiche morali della sapienza e dell’amicizia, secondo elementi e strumentazioni culturali dell’antichità, ma filtrati attraverso il pensiero cristiano. Da sottolineare, comunque, che all’epoca l’uomo è uomo che ha fede, vive la fede, filtra il mondo attraverso di essa. La fede è un elemento fondamentale della vita delle persone, ma anche della cultura che si misura con quella struttura di pensiero e di azione quotidiana.
La Vita Nova è concepita come un libro di memorie, in cui gli avvenimenti di rilievo sono documentati da altrettanti componimenti poetici (sonetti, canzoni). Il libro è interamente dedicato alla sua musa Beatrice, vista per la prima volta all’età di 9 anni e poi a 18, cosa che provoca un profondo turbamento nel poeta che, appunto, inizia una “vita nuova” dopo quel fatto. Il libro è la narrazione dell’amore – platonico – di Dante per Beatrice, ma anche di quel processo di interiorizzazione e sublimazione dell’amore che si distacca dalla consistenza fisica della donna amata per raggiungere un piano prettamente ideale, metafisico. Dante, quindi, illustra come il turbamento d’amore rappresenti l’inizio della vita dell’anima.
Dal punto di vista della lingua, della sua struttura e forma, osserviamo come la tendenza dantesca verso la ricerca di una lingua unitaria e più vera, naturale – il volgare – rispetto a quella “artificiale” rappresentata dal latino, con le sue regole e forme, è da imputarsi alla sua visione rinnovatrice che prevede una radicale riforma della società, della sua organizzazione civile e delle sue manifestazioni espressive ed artistiche.
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