di Sergio Mauri
Se sei atterrato qui significa che vorresti leggere qualcosa che sia inerente le distinzioni tra vedere e guardare, due azioni, decisamente diverse, ma non solo; vorresti anche capire come esse si possano collegare con la verità, questione di cui è costellata tutta la storia non solo filosofica dell’Occidente.
Si rendono necessarie alcune considerazioni: partiamo pensando la differenza tra vedere (passivo) e guardare (attivo). Nella scelta del verbo vedere, una facoltà, questo rappresenta il medium tra due enti (oggetto e soggetto) e i loro rispettivi esseri. Se “gli occhi riescono a vedere solo ciò che la mente è preparata a comprendere” , dobbiamo supporre una presenza che sta dietro e che veda le idee come essenze immutabili della realtà che ha l’inconveniente di essere in continuo divenire e pertanto inafferrabile, con cui concordare (Platone). Quindi veritas, non svelamento (aletheia), idea e non svelato (alethes) (Presocratici, Platone, Aristotele). Concordanza tra l’ente e il pensiero sull’ente. Ma la luce piena, il diradarsi di tutte le tenebre che permette una visione corretta forse è auspicabile, ma impossibile: l’oscuro e l’incompreso ritornano sempre; rimane invece permanente la tensione tra velato e svelato che si evidenzia nell’apertura dell’essere all’ente (Heidegger).
Comprendere (prendere insieme) è il risultato, in parte, della formazione (paideia) in continua tensione col suo polo opposto costituito dalla sua mancanza (apaideusia). Tuttavia, la formazione non spiega appieno ciò che intendiamo con comprensione (cioè con il prendere insieme): essere in grado di comprendere, di prendere insieme, ci è meglio restituito attraverso la periagoghé, la conversione dello sguardo che presupponendo una partecipazione di tutto il corpo e di tutta la mente ci viene meglio restituita dal verbo guardare la cui radice è presente pure nella parola sguardo.
Infine, l’occhio svolge un ruolo determinante: è il testimone di una storia, uno degli strumenti della ricerca (opsis, akoè, lexis, gnome – – > Erodoto di Alicarnasso), ma anche di una consapevolezza, data da un aumento di verità quindi di libertà a essa connessa; libertà che si dà attraverso il vincolo dell’assegnazione dell’essere all’ente (Heidegger).