Ricevo da Fabio M. e volentieri pubblico.
Il 21 gennaio di cento anni fa nasceva il Partito Comunista d’Italia, sezione dell’Internazionale Comunista. L’aggettivo italiano sarebbe arrivato dopo, per altre necessità di ordine tattico e strategico.
In questi ultimi cento anni il movimento comunista mondiale, nato dalle ceneri della Seconda Internazionale, ha celebrato meravigliose vittorie, cocenti sconfitte, inevitabili divisioni. L’esperimento sovietico si è esaurito sotto il peso di quella che Marx chiamava la contraddizione tra modo e rapporti di produzione. La Cina ha visto sopravvivere il più grande Partito Comunista solo grazie all’abiura dei principi che si consideravano irrinunciabili nella costruzione di un mondo più giusto. Le ex-colonie occidentali d’Asia, ruotano attorno al grande sviluppo cinese o indiano; quelle africane sono tra l’incudine americana e il martello cinese. L’America Latina ha visto momenti di dinamismo politico da noi impensabili, con tutte le contraddizioni e i limiti della formula del “Socialismo del Ventunesimo secolo”.
L’Europa è diventata il terreno di conquista per i grandi protagonisti dell’economia internazionale. Gli USA giocano a dividerla attraverso gli alleati centro-orientali. L’Italia, succube delle classi dirigenti e dei poteri forti internazionali, è ridotta a continui adeguamenti verso il basso, inevitabili in un mondo in cui puoi sopravvivere solo se costi meno o sai fare cose che nessun altro sa fare. Il COVID sta giocando il ruolo di acceleratore dei cambiamenti fondati sulla tecnologia che hanno nel controllo sociale e nella mercificazione di ogni aspetto della vita la loro ragion d’essere. Il capitalismo non è più quello che avevamo conosciuto e può fare a meno di almeno due cose: delle guerre e della lotta di classe. Tuttavia, non può fare a meno di fare profitti. Il COVID, distruggendo capitali e vite umane funge da meccanismo di salvaguardia per la ripartenza di un nuovo ciclo economico capitalistico, dopo parecchi anni di preoccupante stagnazione. Sacrificare qualcuno e qualcosa per rilanciare il sistema, ma in un nuovo rapporto con i cittadini, i consumatori, i lavoratori.
La questione che rilancia più coerentemente l’immagine del fallimento del sistema capitalista è quella della distruzione ambientale su cui i giovani vogliono dire qualcosa, attaccati in abbondanza dai responsabili del fallimento. Giovani che stanno capendo che il problema è sistemico, non contingente.
In quest’ultimo secolo abbiamo imparato molte cose. Abbiamo imparato che le risposte ideologiche, i grandi principi scritti sui libri non aiutano a gestire la situazione quando si è vinta una rivoluzione sul piano militare, ma si è chiamati a combattere altre battaglie su quelli culturale, economico, sociale. Abbiamo imparato che le belle idee non bastano e che alla fine della giornata bisogna mettere il piatto in tavola. Abbiamo imparato, infine, che la maggioranza di coloro che ci stavano accanto nel momento della vittoria, sono spariti quando le cose si son messe male.
I comunisti non sono qui a celebrare inutilmente le loro glorie o a piangere sulle loro sconfitte, tantomeno a scontrarsi sulle loro divisioni. I comunisti son qui a testimoniare la continuità della loro storia e della loro lotta in un mondo dove le questioni che le hanno generate sono ancora aperte. In un mondo di conformismo, di appiattimento, di servilismo, di sfruttamento, di materialismo, di opportunismo e manipolazione delle coscienze, i comunisti levano alte le loro bandiere rosse di emancipazione, giustizia, uguaglianza, fratellanza.
Se il destino ci è avverso, peggio per lui!
Viva il Comunismo!