Nel precedente articolo ho parlato di responsabilità, ma senza andare in profondità.
Vediamo di calarci ora nell’intimo di questo termine. Quello di responsabilità è un concetto e il livello di indagine che gli pertiene è quello del comportamento ovvero il livello dell’etica.
È un livello che subisce un comando da parte della storia sia nel senso dei lasciti pregressi che informano il nostro stare in società, sia il farsi di un nostro proprio personale livello etico prodotto dalla nostra vita vissuta.
Qui la responsabilità non può essere semplicemente un accumulo di esperienze altre o parallele, di emendamenti di ciò che abbiamo compreso come errori in un passato più o meno prossimo. Non è semplice paideia, per quanto nemmeno essa sia banale. Cioè è tutto questo, ma molto di più. Se guardiamo all’etimologia della parola responsabilità, troviamo il latino responsum, “risposta”, quindi capacità di rispondere dei propri comportamenti, di renderne ragione. Come cittadini, persone, parte di una collettività. Rispondere dei propri comportamenti che appare distante dalla delega con cui impostiamo il nostro rapporto con la politica.
Noi deleghiamo, incarichiamo qualcun altro a svolgere dei compiti, degli atti in vece nostra. Funziona così, non possiamo opporci a ciò. Con tutto ciò che ne consegue: nostra deresponsabilizzazione di fatto e conferma di un sistema che sulla delega crea impersonalità, anche qui di fatto. Con il facile risultato di dare colpa, responsabilizzare altri per ciò che noi dovremmo essere in grado di fare. Un gioco perverso in generale, comodo per il soggetto che delega, ma al contempo distruttivo per tutti.
Anche la delega si allontana dalla paideia finendo per “formare”, tutt’al più, i professionisti del sistema impersonale, rendendoli sempre più capaci di gestire ciò che è un potere funzionale per un potere funzionale e non per un uomo in carne e ossa.
È nel gioco tensivo tra responsabilità e sua mancanza che si giocano le nostre possibilità e la necessità di andare oltre le deleghe e il gioco perverso del dislocare la responsabilità su di un piano differente da quello proprio che sarebbe invece di casa all’interno del perimetro dei nostri atti quotidiani.
Quindi, centriamo l’obiettivo andando ancora più in profondità. La piena responsabilità, impossibile da raggiungere e la sua piena mancanza altrettanto remota, nel gioco tensivo che inerisce la nostra conoscenza, diviene ora il punto centrale. Quindi, questo gioco presuppone un nostro impegno in termini di consapevolezza e di sforzo conoscitivo che si ottiene con una conversione dello sguardo, attraverso la periagogé.
Nulla di definitivo, dunque, nulla di dato una volta per tutte, ma una presa di coscienza, conversione dello sguardo come garanzia di presa in carico delle questioni della politica. Consapevolezza di un gioco tensivo come manifestazione della responsabilità.