di Sergio Mauri
Queste elezioni, che qualcuno ha definito come le più surreali dalla caduta del Muro, hanno il pregio – se non altro – di aver chiarito un po’ di più chi sono i partiti in lizza. I partiti in Italia sono ormai svuotati da qualsiasi programmaticità e spesso anche competenza nella gestione della cosa pubblica, adeguatamente sostituiti dalla burocrazia di Stato di qualsiasi livello esso sia, in grado di far funzionare un governo, a prescindere dal suo colore (remember Draghi?). E tuttavia, a prescindere dall’inettitudine dei soggetti e delle loro organizzazioni, essi rimangono utili al “sistema” che i mass-media ben rappresentano. Essi sono proprio gli attori principali della pièce teatrale, ben remunerati certo per illuderci che siano veramente protagonisti di qualcosa che invece con semplice ragionamento induttivo possiamo derubricare come “spettacolo teatrale”.
Un paio di settimane fa su TPI n° 33 sono apparsi due articoli interessanti sulla destra italiana: L’altra faccia di Giorgia e Meloni connection. L’inchiesta pubblicata riguarda la Meloni e i suoi collegamenti internazionali, in primis con la destra internazionale. Altro che fascismo, altro che diatribe eterne fascismo-antifascismo che ormai hanno una proiezione inevitabilmente locale, mentre i giochi sono sempre più chiaramente globali e li vedremo tra poco. Ma dunque cos’è questa destra? Tutto meno ciò che dice di essere, anche se, per la verità, con un po’ di attenzione esce un quadro politico abbastanza dettagliato di che cosa può essere. Tutto ciò al netto delle iperboliche e interessate dichiarazioni di stampo elettoralistico. Per ora direi: la destra è quel qualcosa che sta in mezzo fra Trump e Bannon (soprattutto) da una parte e Putin dall’altra. Non è un caso, infatti, che contatti e finanziamenti siano venuti da entrambe le parti. Con intenti certamente diversi ma convergenti. Un riscontro lo avemmo quando ci fu il breve scandalo dei finanziamenti alla Lega, chiaramente una vendetta di Putin per l’inconcludenza di Salvini. Non solo Salvini, però: che dire della Le Pen e dei soldi chiesti indietro da Putin?
Tornando a noi, lo schema è chiaro: la destra italiana, ma anche europea, è una creazione di Washington, con evidenti convergenze (almeno passate, poi le tracce si perdono) a Mosca, la cui strategia è quella della costruzione delle piccole patrie europee, di fronte alla grande patria (politicamente, economicamente, organizzativamente strategica) occidentale con al centro gli USA. Un lavoro chiaramente funzionale alla bilancia di potere mondiale attuale e in prospettiva futuro. Serrare le fila davanti a sconvolgimenti epocali (Cina e altre potenze regionali). Non c’è alternativa per noi, per il nostro blocco geopolitico, piaccia o no.
Questo, dunque, il progetto da parte occidentale. Ma da parte di Putin, quale poteva essere l’utilità di un progetto di finanziamento della destra populista occidentale, più o meno estremista e centrifuga rispetto all’UE? Chiaramente tentare di scompaginare i giochi dell’avversario in questo l’UE creandone una ulteriore spaccatura al suo interno, una spaccatura sia di interessi materiali, sia ideologiche. E qui farei notare la strana posizione di Putin che dice di stare denazificando l’Ucraina mentre per lungo tempo ha aiutato la crescita delle destre europee, xenofobe, sovraniste e populiste nel peggiore dei modi.
Queste le convergenze parallele dunque convergenti nel senso di un indebolimento dell’Europa, il più profondo possibile. Un piano che sembra riuscire, visti i risultati – boomerang delle nostre sanzioni. Un indebolimento più che accettato dalla leadership europea, almeno finora, forse a causa del fatto che l’onda lunga del suicidio europeo (due guerre mondiali) ribussi costantemente alle nostre coscienze, preferendo il guinzaglio statunitense a una libertà che sappiamo sarebbe distruttiva.
Per gli americani è ovvio il gioco di indebolimento dell’attore europeo; da parte russa il sostituirsi in certe aree del pianeta alle partnership europee e occupare spazi in anticipo nell’esplosivo mercato asiatico è certamente allettante. Si aggiungono poi ragioni interne al Paese e alla sua leadership, evidentemente non paga dei risultati ottenuti sul piano geopolitico.
Ecco, dunque, come si inserisce nel contesto la destra italiana (ed europea). Come utile servitore delle priorità imperiali statunitensi, altroché sovranità! Detto questo, rimane da capire cosa ci sia dall’altra parte, cioè a sinistra, quale sia il gioco opposto (se c’è) e quale sia la forza dell’europeismo più conseguente. Ho messo volutamente insieme i termini sinistra ed europeismo, perché tra i due c’è attinenza e contiguità, non solo nell’immaginario degli elettori, fatto salvo il fatto che la sinistra di cui parliamo non è quello che dice di essere, né nelle sue versioni moderate, né in quelle radicali.
C’è stato un periodo in cui l’eurocrazia ha avuto forza e successo e questo periodo è durato fino a qualche anno fa, fino al secondo mandato Obama, dove tra le righe si leggevano dei contrasti. Trump, covid e guerra russo-ucraina hanno dato la mazzata finale a ogni velleità europea. Tanto è bastato per annichilire la classe dirigente europea, farla tornare all’ovile di Washington, della NATO, delle trattative separate tra partner occidentali, della stretta nei confronti della intraprendenza cinese. Attualmente, dunque, anche l’europeismo è da ricondurre alle miti pretese dell’orientamento atlantista. I margini di manovra sono al lumicino.
Quello in atto è un processo che come tale è dinamico e articolato, ha un inizio e una fine, ha i suoi attori e detrattori. Il problema è che sia gli uni che gli altri giocano nel medesimo campo e nella stessa squadra.