di Sergio Mauri
L’argomento di questo discorso è il Defensor pacis del filosofo Marsilio da Padova. Egli vive tra il 1275 e il 1343, compone il Defensor in collaborazione con Giovanni di Jandun a Parigi nel 1324. La ragione di questo capolavoro risiede nella volontà di risolvere le cause di discordia e contesa civile della sua epoca, proponendo un ideale di pacifica convivenza fondata su una rigorosa distinzione tra sfera del potere civile e sfera religiosa. Vediamone i contenuti.
L’opera è un vasto trattato politico diviso in tre parti o discorsi. Essa è concepita in un’epoca di poteri fra loro autonomi, reciprocamente intrecciati, in assenza di una fonte del diritto che potesse rappresentarsi come sovrana. Nella prima parte si avvale di argomenti razionali; nella seconda dell’autorità della Scrittura e della tradizione e si propone la confutazione degli avversari; nella terza trae alcune conclusioni pratiche. Punto di partenza dell’analisi è il naturale desiderio dell’uomo a un benessere che vada oltre la semplice sopravvivenza. Le varie forme associative umane nascono da questo desiderio, ma non sono in grado di tutelare la convivenza, come nella teleologia aristotelica, perché in esse permane il contrasto degli interessi individuali. Quindi, non è la natura politica dell’uomo, ma un ordinamento positivo fatto di leggi, che può salvaguardare la pace. Marsilio accetta la classica distinzione tra legge eterna, legge naturale, legge divina, e legge umana, ma non la interpreta come un ordine gerarchico e continuo. Si sofferma invece sulla differenza tra legge umana e divina e sancisce la piena autonomia della legislazione civile che non necessita più di essere fondata su una norma trascendente. Ne consegue la contestazione della superiorità del potere ecclesiastico su quello politico. I poteri temporali del clero sono visti in Marsilio, come un’usurpazione e la plenitudo potestatis del papa come un attentato alla stabilità e alla pace. Solo la legge umana può avere un potere coercitivo in questa vita, mentre la legge divina, assunta per fede, stabilisce premi e punizioni in riferimento alla vita futura. Marsilio, leggendo i passi evangelici, dimostra che gli apostoli (e di conseguenza il papa loro erede) non hanno ricevuto da Cristo alcun potere coattivo, neppure quello di punire gli eretici. Le leggi civili, perciò, non derivano la loro legittimità dal potere spirituale, ma dal consenso del popolo. Marsilio sostiene che l’autorità di fare le leggi spetti solo a colui il quale facendole farà si che le leggi siano meglio o assolutamente osservate. Il diritto lo fa chi riesce a farsi obbedire, erogando eventuali sanzioni. Per Marsilio il diritto è slegato dalla morale, ma è legato alla forza. Qui intravvediamo la linea Hobbes – Locke. Il diritto si può vagliare attraverso la forma, cioè la fonte, l’organo di produzione.
L’opera è il frutto di una sintesi tra la dottrina aristotelica, in particolare la Politica, e agostiniana. È considerata la prima grande teorizzazione dello Stato laico moderno in contrapposizione alle concezioni teocratiche medievali. Marsilio attribuisce la facoltà legislativa alla totalità dei cittadini che può delegare i poteri esecutivi a una o più persone che li esercitano in nome della volontà comune. Le leggi dello Stato non devono ispirarsi ad alcun ideale che ipostatizzi un ordine definitivo del cosmo, ma devono mirare piuttosto a evitare ogni possibile contesa o discordia. A questo scopo lo Stato rivendica a sé l’esercizio di ogni potere coattivo. Fondandosi sulla convinzione che Cristo, pur essendo “re dei re” non volle esercitare alcun potere o dominio, Marsilio attribuisce alla Chiesa il solo compito dell’annuncio del regno celeste, negandole ogni potere giuridico di tipo coercitivo. In linea con le concezioni dei francescani avversari del papa, rifugiatisi alla corte dell’imperatore Ludovico il Bavaro – Guglielmo di Occam, Michele da Cesena, Bonagrazia da Bergamo – Marsilio vede nella povertà un elemento distintivo della Chiesa: il perfetto cristiano deve vivere alla stregua di Cristo e degli apostoli. Contro le concezioni dei teologi curialisti che attribuivano al papa la pienezza del potere, Marsilio afferma che il pontefice non ha alcun primato di origine divina rispetto agli altri vescovi e rivendica al concilio il compito di verifica del governo della Chiesa.