di Sergio Mauri
Approfondimento della recensione-saggio I manipolatori della pazzia.
Anacronismo: quello dell’anacronismo è – a mio avviso – uno dei problemi rilevabili nel testo di Thomas Szasz, I manipolatori della pazzia, poiché comparare due epoche così lontane e differenti – quella contemporanea e quella della Inquisizione prima e durante la Controriforma – rischia di invalidare l’analisi dell’autore. Egli, parlando non direttamente degli uomini dei due tempi e dei loro atti e modelli antropologici, ma di un loro prodotto culturale, traspone l’eresia di allora nella sua versione di oggi, cioè la cura psichiatrica, nuova “cura” per l’eresia, rappresentata dalla malattia mentale come forma di non-conformità rispetto alla cultura egemone. Ma possiamo fare veramente questa comparazione fra esigenze, motivazioni, sensibilità, acquisizione di conoscenze mediche, sociali, economiche, scientifiche di due mondi (molto probabilmente) incommensurabili. Quale sarebbe il tratto comune che li accomunerebbe? Il potere? Le due modalità in cui esso viene vissuto e operato possono essere confrontate? Gli uomini di scienza di oggi vivono il potere con gli stessi sentimenti, finalità di quelli (uomini di Chiesa e semplici cittadini-sudditi) di circa cinquecento anni fa? Crediamo di poterne dubitare. Si potrebbe argomentare riguardo ai parametri e alle finalità della contemporanea società consumistica rispetto a quella ancora teocentrica di cinque secoli fa, in cui il percorso della vita doveva infine portare alla salvezza della propria anima.
Ancora: abbiamo una correlazione (o una causalità) con quanto successo cinquecento anni fa? Cioè, possiamo considerare correlati i fatti, fra loro e all’interno della stessa epoca, oggetto del nostro interesse comparativo? Ovvero: le risposte del potere, allora come oggi, in relazione ai problemi posti, oltre che correlate, sono anche comparabili? E ancora più fondamentale: tra allora e oggi la comparazione si può fare in base al terreno comune del possesso del potere (come sembra suggerire Szasz)?
L’anacronismo è un termine utilizzato per descrivere un errore o una incongruenza nel quale un oggetto, un evento o un concetto viene collocato in un periodo di tempo in cui non appartiene storicamente. In altre parole, si tratta di attribuire qualcosa a un periodo temporale in cui non esisteva o in cui non era appropriato.
L’anacronismo può verificarsi in diversi contesti, come ad esempio nella letteratura, nel cinema, nell’arte o nella discussione storica. Ad esempio, se in un film ambientato nel Medioevo si vedesse un personaggio che utilizza un telefono cellulare, ciò sarebbe un chiaro esempio di anacronismo, poiché i telefoni cellulari non esistevano in quel periodo storico.
Gli anacronismi possono essere intenzionali o accidentali. A volte, gli autori li utilizzano consapevolmente per scopi artistici o per creare effetti comici o ironici. Ad esempio, in un film di ambientazione storica, potrebbe essere inserito un dialogo che fa riferimento a eventi o concetti che sono avvenuti solo successivamente, al fine di suscitare una reazione nel pubblico.
Tuttavia, gli anacronismi possono anche essere considerati errori o sviste quando si tratta di rappresentare accuratamente un determinato periodo storico. Nella ricerca storica e nell’analisi critica, gli studiosi cercano di evitare gli anacronismi per garantire un’interpretazione corretta dei fatti e delle circostanze di un’epoca passata.
In breve, l’anacronismo è l’inserimento erroneo di un elemento temporale in un contesto storico in cui non appartiene, spesso provocando una discrepanza o un effetto di discontinuità temporale.
Note biografiche su René Girard.
René Girard è stato uno dei più influenti teorici culturali e antropologi del XX secolo. Nato il 25 dicembre 1923 ad Avignone, in Francia, Girard ha trascorso gran parte della sua vita negli Stati Uniti, dove ha svolto la maggior parte del suo lavoro accademico. È stato professore emerito di lingue e letterature comparate presso la Stanford University, dove ha insegnato per molti anni.
Girard ha studiato letteratura, storia e filosofia presso diverse università francesi, ottenendo una laurea in lettere nel 1947. Ha poi proseguito gli studi presso l’École des Chartes, specializzandosi nella storia medievale e ottenendo un diploma di archivista paleografo nel 1949. Successivamente, Girard ha trascorso alcuni anni come docente in diverse istituzioni francesi prima di trasferirsi negli Stati Uniti nel 1947 per insegnare lingua e letteratura francese alla Duke University.
La svolta nella carriera di Girard è avvenuta negli anni ’60, quando ha iniziato a sviluppare la sua teoria del desiderio mimetico e del meccanismo sacrificale. Secondo Girard, il desiderio umano è imitativo per natura, e le nostre aspirazioni e bisogni sono spesso modellati dalle persone che ci circondano. Questo fenomeno di imitazione reciproca può portare a conflitti e tensioni all’interno della società umana. Girard ha suggerito che i rituali sacrificali, presenti in molte culture antiche, sono emersi come meccanismo per placare la violenza scaturita dal desiderio mimetico.
La teoria di Girard ha avuto un impatto significativo in diverse discipline, tra cui la letteratura comparata, l’antropologia, la sociologia e la psicologia. I suoi studi hanno analizzato in dettaglio opere letterarie, miti e testi religiosi per evidenziare i meccanismi mimetici e sacrificali presenti in queste narrazioni. Girard ha applicato la sua teoria a una vasta gamma di fenomeni culturali, tra cui la rivalità mimetica tra individui e gruppi, la nascita dei sistemi religiosi e la dinamica della violenza collettiva.
Tra le opere più importanti di Girard vi sono “Deceit, Desire, and the Novel” (1961), “Violence and the Sacred” (1972), “Things Hidden Since the Foundation of the World” (1978) e “I See Satan Fall Like Lightning” (1999). Questi testi hanno contribuito a definire il campo degli studi girardiani e hanno ispirato numerosi studiosi e intellettuali.
René Girard è stato riconosciuto con molti premi e riconoscimenti per il suo lavoro, tra cui il prestigioso premio della Fondazione Re dei Paesi Bassi nel 2006. È scomparso il 4 novembre 2015, lasciando un’eredità di pensiero che continua ad essere oggetto di studio e discussione nella comunità accademica.
René Girard, La violenza e il sacro. L’immolazione violenta della vittima è l’atto istitutivo della comunità e dei suoi significati. La vittima sacrificale è ambivalente: è considerata sacra, ma è meritevole di uccisione. Per Girard l’ambiguità risiede nel fondo di aggressività inerente alla realtà antropologica. Il sacrificio rappresenta la soluzione storicamente più efficace, poiché canalizza su un unico oggetto l’aggressività di tutti, salvaguardando il resto del gruppo. La designazione vittimaria avviene per mezzo di un’attribuzione di colpevolezza. La espulsione fa della vittima il garante della comunità. L’ambivalenza della vittima si spiega così: grazie all’imputazione della colpa che pacifica il gruppo, l’espulso diviene oggetto di venerazione religiosa. Allora tutta la produzione religiosa è implicata nell’economia sacrificale. Tutto l’orizzonte trascendente si genera per liberare la comunità dalla violenza proiettandola, con l’espulso, sul divino. La dinamica dell’aggressività è animata dal desiderio che istituisce un gioco di rivalità che sfocia nel conflitto. Ciò avviene a causa della proprietà mimetica del desiderio. Da una versione diversa da quella di Freud riguardo il mito di Edipo e del totemismo, in base a quanto detto. Per Girard l’ipotesi vittimaria si estende a tutto l’universo dei simboli, divenendo la matrice (l’unanimità violenta) complessiva della cultura e delle sue istituzioni. Per Girard il cristianesimo denuncia, con il messaggio evangelico, l’origine aggressiva delle formazioni culturali.