di Sergio Mauri
Il tema è la verità, attraverso due autori del Novecento, Nietzsche e Heidegger.
Ci sono diversi modi di occuparsi degli enti, per esempio accettando le sussistenze per quello che sono, secondo la nostra esperienza. Altro è interrogarsi su ciò che costituisce la mia esperienza: non tutte le esperienze sono sensibili, possono essere anche intellettuali. Interrogarsi in relazione al modo attraverso il quale accedo agli enti. Avere coscienza di qualcosa mi fa interrogare sulla coscienza stessa, su che cosa sia e cosa significhi e comporti.
Cartesio, ad esempio e al contrario, pensa che la coscienza inganni, se guardiamo all’introduzione del suo metodo. Per il fisico i fenomeni esistono e devono essere tradotti in formule. La filosofia consiste nello scarto di attenzione rispetto all’ente.
L’atteggiamento nei confronti dell’ente ha diversi livelli di specializzazione. L’atteggiamento filosofico parte dalla constatazione di non dare per scontato che l’ente esista. Vi sono differenze tra intelletto comune, intelletto scientifico, intelletto filosofico, ma in continuità fra loro.
Heidegger, in una lezione su Hegel, filosofo al centro dell’idealismo romantico tedesco. Hegel pubblica nel 1807 Fenomenologia dello spirito. Heidegger dice che Hegel scrive la Fenomenologia per narrare il percorso che lo spirito compie per tornare presso sé stesso, dopo una serie di alienazioni. Hegel voleva fornire un percorso compiuto, finito della filosofia, fine a sé stesso.
Introduzione e Prefazione alla Fenomenologia sono esemplari, mettono in chiaro cosa significhi fare filosofia. Heidegger riporta le difficoltà del compito di Hegel. La Prefazione hegeliana è un caso unico nella storia della filosofia occidentale. Le introduzioni, dice Heidegger, funzionano perché il pensiero quotidiano e quello scientifico sono rivolti all’ente. Heidegger osserva poi che un’introduzione nel pensiero filosofico è impossibile, proprio per la natura stessa della filosofia.
Heidegger osserva che la filosofia non è semplicemente una disciplina fra le altre. Non ha nulla in comune col pensiero quotidiano. La filosofia tratta dell’essere; l’essere non è l’ente. L’esperienza della fede, un ente, non è materiale, la pietra, si. La geometria o la matematica sono enti non materiali, di cui non abbiamo esperienza sensibile. L’essere non è l’ente, ne è differenziato, è inafferrabile.
Nel pensiero che pensa, nel pensiero filosofico, dice Heidegger, c’è discontinuità col pensiero quotidiano. Un’introduzione alla filosofia può preparare al salto, anzi al baratro, secondo Heidegger. Il salto non può essere compiuto dopo una rincorsa troppo breve (Heidegger). L’introduzione alla filosofia introduce a un atteggiamento di tipo emotivo, non scientifico, non introduce alla filosofia. Heidegger vuol dire che il passaggio tra pensiero comune e filosofico presuppone un salto, dove noi interroghiamo l’essere.
Porsi la domanda: qual è la differenza tra essere ed ente? Non è corretto. L’essere non è un ente, non possiamo raffrontarlo con un ente, non possiamo conoscerlo come conosciamo un ente.
Ciò che rimane non interrogato dal pensiero è fuori dall’ente. Possiamo intendere l’essere come un sostantivo o come un qualcosa che definisce un’entità. L’essere, però, rimane irraggiungibile. Può, tutt’al più, essere un punto di riferimento. Nell’impossibilità di definire l’essere si gioca il pensiero filosofico.
In Essere e tempo, Heidegger afferma che l’essere può venire inteso come un comprendere che non è definibile come si definiscono le altre cose che si comprendono.
Quando forniamo all’essere un attributo dell’ente, trasformiamo l’essere in ente. L’essere non è una cosa. Kant dice che l’essere non è un predicato reale. L’essere non è un predicato che si può attribuire alla cosa.
Da leggere, anche se non in programma, l’Introduzione e la prefazione della Fenomenologia dello spirito di Hegel. Prima di procedere con Nietzsche abbiamo parlato di salto ontologico tra pensiero comune e pensiero filosofico: vi è quindi tra i due una differenza sostanziale, di sostanza, ed è quello che sostiene Heidegger. Passiamo quindi a Nietzsche.
Vediamo ora la ricezione di Nietzsche. Dal momento in cui Nietzsche impazzisce inizia il lungo percorso della fama. È con Così parlò Zaratustra che inizia il percorso. Inizialmente sono gli artisti a essere colpiti da Nietzsche. Alla fine degli anni Venti è riconosciuto come filosofo. Wille zur Macht è confezionato dalla sorella e dai suoi collaboratori. È suddiviso in quattro capitoli. Certamente la sorella lo ha fatto in direzione di rappresentarne i tratti di destra, della crescente ideologia nazista. Nel 1954 Lukacs, poi i filosofi francesi, negli anni Sessanta, ne parlano. Abbiamo quindi l’importante opera di Heidegger Nietzsche. Deleuze ne scrive in Nietzsche et la philosophie. Si tiene nel 1964, in Francia, un convegno su Nietzsche, presso l’Abbazia di Royaumont, a nord di Parigi, a cui partecipano Foucault, Deleuze, Vattimo, ma non Heidegger. Nel 1971 viene organizzato un altro convegno dal titolo Nietzsche aujord hui? a Cerisy-la-Salle sempre nel 1971, al quale parteciparono, tra gli altri, non solo Deleuze e Derrida, ma anche Lyotard e Klossowski. Esce nel 1974 Il soggetto e la maschera, sottotitolo Nietzsche e il problema della liberazione di Gianni Vattimo. Vattimo ne dà una lettura non confliggente con l’idea di liberazione degli anni Settanta, prettamente marxista, anche in senso critico marxista.
La cultura filosofica italiana non rimane ai margini del rinato interesse per Nietzsche. Giorgio Colli e Mazzino Montinari alla fine degli anni Cinquanta si recano a Weimar all’archivio Nietzsche per vedere le carte e propongono la pubblicazione dei testi inediti, attraverso edizioni critiche, oltre che di quelli editi. La risposta di Einaudi è no, perché Nietzsche è un autore di destra. Si rivolgono allora a Adelphi che si assume la pubblicazione degli inediti. Con la casa editrice Adelphi si afferma una rinascita, un confronto con l’opera di Nietzsche.