di Sergio Mauri
Ambiente, natura, clima. I tre termini hanno avuto una definizione parallela, nel corso dei secoli, tra filosofia e geografia, entrambe orientate alla costruzione di una visione del mondo e del rapportarsi con esso. Per fare una breve carrellata delle due discipline possiamo dire che i Presocratici erano filosofi e geografi, spesso nelle stesse persone, il cui spirito speculativo, curioso e scientifico si applicava alla loro visione del mondo[1]. I Greci volevano scoprire, spiegare[2], disegnare il mondo[3]. Parmenide nel suo poema Sulla natura, indaga la natura dell’essere e le modalità in cui si manifesta. In campo romano, invece, l’orientamento geografico era puramente pragmatico, per la risoluzione di problemi posti alla gestione di un impero sempre più vasto e complesso[4]: la filosofia era supplita dal mondo greco. Atomisti ionici ed Epicurei vedevano la natura in modo meccanicistico e materialista, mentre per i Sofisti la natura era il luogo della spontaneità degli impulsi in contrapposizione alle leggi. I Cinici proponevano un ideale di vita secondo natura. Socrate non si interessava di scienza o di natura e preferiva occuparsi di uomini. Ippocrate parlava di ambiente includendovi il clima, responsabile a suo dire dei temperamenti umani.
Con Platone e Aristotele abbiamo un salto di qualità e di impostazione della conoscenza. Il primo è l’ideatore dell’anima (psyché) che diventa l’organo della conoscenza che doveva essere “salda e sicura” (epistéme), in opposizione alla doxa, l’opinione, una conoscenza non obiettiva della realtà. Si doveva quindi procedere per numeri, idee, regole che rappresentavano quella conoscenza salda e sicura situata fuori dal mondo sensibile, sempre ingannevole. Aristotele, che on Platone aveva in comune la visione teleologica, definiva la natura come “[…] la sostanza di quelle cose che hanno un principio di movimento in sé stesse”[5]. Tolomeo, più tardi, ci lascia un manuale di geografia astronomica-matematica, l’Almagesto e un testo di geografia descrittiva, la Geografia.
La svalutazione dell’elemento sensibile in favore dei costrutti mentali continua con i Neoplatonici. Plotino considera la materia come degradazione, un non essere e la natura come l’anima nella sua forma inferiore poiché rivolta a quel non essere. Il pensiero cristiano, dalla patristica alla Scolastica distingue con enfasi il creatore dal creato l’origine da ciò che ne discende con implicito degrado. Tommaso, conciliatore di aristotelismo e cristianesimo sostiene che la natura di un ente è causa finale del suo movimento, riposto da Dio nelle cose. Contrapposta a questa visione abbiamo la filosofia della natura del Rinascimento[6] che riprende motivi stoici panteistico-vitalistici richiamanti il platonismo e i presocratici. Il Medioevo vede il dominio della teologia che diventa fonte scientifica. Grazie al mondo islamico si riscoprono Aristotele e Tolomeo. La cifra geografica dell’epoca è rappresentata dalle mappae mundi. Dalla seconda metà del XIII secolo nascono le carte nautiche[7].
La scienza moderna muterà radicalmente: la natura è una macchina concepita da Dio per mezzo di leggi matematiche, concezione che nasce dalla fusione tra meccanicismo atomista e matematizzazione pitagorico platonica. Per Galileo il libro della natura è scritto in lingua matematica[8]. Nasce così il metodo sperimentale che guida l’osservazione dei fenomeni naturali che permette di leggere quella lingua matematica. Si supera l’astrattismo degli antichi. Questa concezione si estende a tutta la filosofia, da Hobbes agli illuministi, agli empiristi fino a Hume, passando per Cartesio, Spinoza e Leibniz[9]. Anche Kant è su questa linea: per natura intende la totalità dei fenomeni connessi e necessari secondo causa. Montesquieu[10] presumeva che i climi influenzassero anche le forme di governo. Per Lamarck l’evoluzione biologica era fondata sulla determinante dell’ambiente naturale. Con l’epoca moderna si superano le tavole antiche e si individuano i grandi quadri ambientali della superficie terrestre[11] anche in virtù del controllo che lo Stato nascente deve avere sul territorio[12]. La rivoluzione scientifica del Seicento vede studiosi come Bernardo Varenio[13], Giovanni Battista Guglielmini[14] e Montesquieu[15] interessarsi di geografia e ambiente. Nel Settecento Georges-Louis Leclerc conte di Buffon scrive del rapporto biunivoco uomo-ambiente, dove la natura è completamente estranea alle vicende umane[16].
A questa visione si opporrà quella romantica con la ripresa di motivi neoplatonici e spiritualistici[17]. Schelling propone la distinzione tra filosofia della natura e scienze naturali. Per Hegel sulla linea del Neoplatonismo, la natura è cieca necessità e mera accidentalità, ripete l’ordine del concetto in modo imperfetto ed esteriore. Tra Otto e Novecento abbiamo da una parte la contrapposizione tra apparenza e sostanza[18], dall’altra la natura come “slancio vitale” ed “evoluzione creatrice”[19].
Se noi tracciamo un quadro delle linee di pensiero filosofico e di quelle del pensiero geografico, che va dagli inizi dell’Ottocento fino alla fine del XX secolo, scopriamo esserci un’attinenza e un’influenza reciproca, a cominciare dal Descrittivismo che ha il suo fondamento nell’Empirismo, il Determinismo nella corrente del Positivismo, il Possibilismo nello Storicismo, fino alla New Geography e alle Geografie radicali che rispettivamente hanno il loro fondamento nel Funzionalismo e nello studio delle strutture di cui la società si è dotata e nella corrente post-modernista. Tutti indirizzi che si focalizzano sul rapporto uomo-ambiente, dando, tuttavia, diverse priorità e individuando nei poli relazionali una direzionalità piuttosto che un’altra.
Negli ultimi decenni la tendenza è stata quella della matematizzazione di tutto il mondo umano. Dall’evoluzionismo alla sociologia alle discipline umanistiche ci si è riferiti sempre più al modello rigoroso della scienza fisico-matematica[20]. Una visione diversa è quella di Heidegger per il quale l’ambiente naturale sarebbe quello delle relazioni complessive, psico-fisiche, dell’umwelt.
La definizione di ambiente che potremmo dare oggi è quella di un insieme di condizioni che influiscono sulla vita degli individui in relazione al piano fisico-naturale, biologico, psicologico.
Per quanto concerne più specificamente il clima, esso è un insieme di processi, come ci ricorda Franco Farinelli[21] e quando ne parliamo dovremmo riuscire a porci ben oltre la logica binaria cui siamo stati costretti sia per la nostra struttura di esseri umani, sia dal nostro istinto di sopravvivenza che di quella struttura è parte. Quindi, processi e non stati e condizioni; processi in continua evoluzione. Processi che, di per sé, non dipendono unicamente da noi, ma certamente ne sono influenzati.
[1] Ecateo di Mileto, Anassimandro.
[2] Strabone.
[3] Anassimandro, Marino di Tiro.
[4] Agrippa, Pomponio Mela, De Chorographia. Seneca, Naturalis Quaestiones, indagine sui sismi. Plinio il Vecchio, Naturalis Historia.
[5] Aristotele, Metafisica, Libro V.
[6] Telesio, Campanella e Bruno.
[7] Vedi Carta Pisana.
[8] Galileo Galilei, Il Saggiatore, Capitolo VI.
[9] Con richiami a Dio e alla visione teleologica.
[10] Montesquieu, Spirito delle leggi.
[11] Giovanbattista Ramusio, Navigatione et viaggi, 1550.
[12] Jean Bodin, Les six livres de La Republique, 1576.
[13] Bernardo Varenio, Geographia Generalis, 1650.
[14] Noto per le prime prove meccaniche della rotazione terrestre.
[15] Montesquieu, Saggio sulle cause che possono ripercuotersi sugli spiriti e i caratteri.
[16] Buffon, Histoire naturelle generale et particuliere, 1749-1789.
[17] Rousseau.
[18] Schopenhauer, apparenza (natura) e sostanza (volontà).
[19] Bergson.
[20] Al netto dello sviluppo di nuovi campi di ricerca e della teoria dell’indeterminismo di Heisenberg.