di Sergio Mauri
Hobbes e Locke. Molto ci sarebbe da dire su di loro. Per prima cosa va detto che Hobbes è un teorico del diritto e della politica che ha interiorizzato il metodo della scienza. Conobbe Galileo e ne apprezzò il lavoro. Hobbes pensa che l’approccio quantitativo sia quello giusto per applicare il metodo scientifico. Si pensa, da ciò che scrive, abbia provato una certa invidia per gli uomini di scienza. Hobbes non crede all’esistenza dello stato di natura, la sua è solo una rappresentazione allegorica.
Quindi, obiettivo di Hobbes è quello di dominare i rapporti sociali e portarli alla pace. Per farlo ci si deve avvalere dell’approccio scientifico. Quindi, richiama il calcolo razionale. Tutto ciò che non è soggetto a calcolo è opinabile, soggettivo, non oggettivo. È una falsa opinione del volgo. Proponendo una scienza nei rapporti interpersonali, potremmo avere una misurabilità e oggettività dei rapporti stessi. I rapporti quantificabili uniscono, creano consenso. Quelli qualificabili creano distanza, conflitto.
Dritto, torto, giusto o sbagliato sono discussioni di ogni giorno; Hobbes propone di andare oltre a tutto ciò, attraverso il positivismo logico. Ciò che Carnap farà proprio quasi trecento anni dopo, attraverso una ripresa dei giudizi analitici e sintetici. Giudizi analitici e sintetici, non dipendono in alcun modo dall’operatore, come la geometria sono indipendenti dal soggetto percipiente. I giudizi, in questo caso, sono oggettivi. Vi sono però anche giudizi di valore e riguardano le qualità qualificabili e non quantificabili: gusto, colore, sapore. Ciò che inerisce ai nostri sensi. Non sono giudizi oggettivi. Se i rapporti giuridico-politici vengono condotti da giudizi di valore, siamo rovinati. La pace sociale è garantita dalla conoscenza oggettiva dei fatti politici. Hobbes, quindi, pone la questione del diritto come comando sovrano. Alla sovranità del diritto spetta di prescrivere le regole in modo che ognuno possa sapere di quali beni può disporre e di quali azioni può disporre senza venir molestato da qualcuno degli altri sudditi. E alla sovranità inerisce il diritto di giudicatura. Qui, allora, è azzerato tutto l’ordine giuridico precedente basato sulle autonomie fra loro intrecciate, sulla pluralità delle fonti, sulla centralità dell’interpretatio. Qui abbiamo un’unica fonte, il sovrano. Non c’è più incompiutezza: il potere politico e giuridico sono uno. C’è un’unica legge che ha carattere scientifico. Non vi può essere nessuna discussione personale su di essa, poiché non dipende dalla percezione personale delle cose. Dice Hobbes che giustizia e ingiustizia non sono facoltà né del corpo né della mente. Non si tratta di ciò, ma di fatti convenzionali che abbiamo fatto noi, con un accordo tra le parti.
Hobbes agisce come uomo moderno trasponendo in ambito giuridico ciò che è proprio della scienza, degli assiomi del metodo scientifico. Egli intende quindi scomporre i meccanismi del fenomeno in via ipotetica, in modo da comprenderne l’operare. Hobbes indica dunque i postulati utili all’obiettivo politico prefissato, la pace. Gli uomini, dice Hobbes, se non temono la potenza comune sono l’uno lupo all’altro. Da queste ipotesi scaturisce lo stato di natura. Nel De Cive, tuttavia, segnaliamo una contraddizione dove parla di “guerra da tutti rifuggita per natura” e il dichiarato “uomo lupo all’altro uomo”; una guerra che non piace a nessuno che però tutti si fanno. La visione antropologica di Hobbes è negativa.
Un’altra cosa che ci insegna il positivismo logico, quello del circolo di Vienna, è che per fare scienza, per porre in essere giudizi analitici e sintetici, noi non dobbiamo fare metafisica, ma per prima cosa purificare il linguaggio, parlare in maniera inequivocabile, altrimenti creiamo confusione. Per ridurre le questioni giuridiche in termini quantitativi abbiamo bisogno di un particolare linguaggio, quello formalizzato, che è perfetto per la scienza. Purificazione del linguaggio per costruire figure riconducibili alla logica deduttiva. Al fine di portarci pace e giustizia.