di Sergio Mauri
John Locke a favore della tolleranza, questo l’argomento di oggi. Nella sua lettera (Lettera sulla tolleranza, 1685) Locke parla appassionatamente della tolleranza. Parla dunque di beni civili. Tuttavia, nella lettera vi sono dei limiti alla tolleranza. Il centro del potere politico deve essere intollerante. Egli discute di magistrato civile e di sovrano, parla di tolleranza e intolleranza. Anche per il liberale Locke ciò che caratterizza la sovranità è la forza. Infatti, per togliere ogni dubbio afferma che i prìncipi nascono superiori agli altri sudditi per la forza (per potere, anche se nascono uguali per natura). Coloro che gestiscono i rapporti politici non sono migliori dei sottoposti. Non vi è superiorità qualitativa come in Platone con il governo dei filosofi.
In Locke troviamo l’affermazione dei concetti già contenuti in Marsilio da Padova col suo Defensor pacis. Governa non il più bravo, ma il più forte.
Vi sono cose intollerabili. Risulta intollerante un credo o una condotta che leda la vita e la libertà di un uomo. Quali siano gli obblighi in una comunità (di consociati) è tema su cui riflettere e a cui rispondere. Un’alleanza comporta degli obblighi. Potrebbero essere i consociati a indicare i loro obblighi.
Nel testo Lockiano non è questa la prospettiva, è la volontà del sovrano cui sono sottoposti in quanto sudditi. Il bene pubblico orienterebbe poi l’attività legislativa e il sovrano sarebbe al bene pubblico vincolato. Possiamo ipotizzare che l’attività legislativa dello Stato sia vincolata al bene pubblico. Facciamo una controprova: cosa accade se il magistrato con una legge comanda ciò che alla coscienza privata del suddito appare sbagliato, illecito? Locke risponde perentoriamente dicendo che qualsiasi opinione del cittadino non conta rispetto alla decisione del magistrato. Entra in contrasto col centro di costruzione legislativo. Non è comunque fuori discussione che sia un rapporto, una discussione tra suddito e sovrano a prescindere da Locke. Quindi, Locke dice che è intollerabile la disobbedienza; l’obbligatorietà del comando è vincolata al bene pubblico; dobbiamo obbedire perché qualcuno ci comanda ed è armato dalla potenza di tutti i suoi sudditi. Disobbedendo ci becchiamo una sanzione. Il giusto e l’ingiusto derivano dal comando come in Hobbes. Ciò che traspare è che un imperativo posto dal sovrano su una materia in cui è competente, obbliga il suddito. Non c’è dissenso possibile al suo operato (del sovrano). Il suo potere politico è assoluto. Anche nel caso di Locke riecheggiano le questioni delle false opinioni del volgo, come in Hobbes.
Locke, tuttavia, si occupa anche dell’occulta resistenda (diritto di resistenza). Nella prospettiva lockiana la natura del potere politico è frutto del comando sovrano, perché è il sovrano a creare la politica; dunque, la sua autorità non può essere toccata. Il diritto di resistenza è contrario all’esistenza dello Stato. Nel XVII secolo il diritto di resistenza era utilizzato. E ricordiamo quale poteva essere il peso di una scomunica (vedi Canossa).
Quindi, la contestazione del comando del magistrato per Locke sarebbe solo un portare avanti da parte della gente dei propri programmi, progetti, interessi. Costoro chiederebbero tolleranza per abbattere lo Stato. Per esempio, Locke porta l’esempio della Chiesa cattolica che porrebbe in dubbio il potere del sovrano e il suo comando. Nell’Inghilterra di Locke non sono tollerati i “papisti”. Facendo parte della Chiesa, il comando del papa sarebbe in contrasto con quello del sovrano. Una forma di associazione per sovvertire lo Stato.
All’interno dell’Inghilterra c’è un continuo contrasto tra re cattolici e protestanti (vedi giacobiti) e anche la presenza di tre regni: Irlanda, Scozia, Inghilterra. (Vedi anche la Congiura delle polveri). Il contesto inglese dà il tono alla serie di considerazioni, la non-tolleranza, su chi pone politiche avverse alla sovranità. E, tuttavia, potremmo essere tolleranti verso gli atei? Assolutamente no, dice Locke, poiché eliminando Dio tutto ciò che l’ateo fa non ha valore, poiché non teme il castigo eterno. Locke attiva una tolleranza selettiva, che tollera tutto ciò che è conforme al potere sovrano, ma non può tollerare ciò che pone in discussione il potere in sé. Come non può tollerare il potere di una chiesa o di un’ideologia che ponga in discussione l’assolutezza dello Stato.
Qui abbiamo un’altra similitudine tra Hobbes e Locke. Intanto, vediamo il frontespizio del Leviatano e la figura là impressa ha in una mano la spada nell’altra il pastorale, deve controllare dunque il potere mondano e quello spirituale. Qui potremmo chiederci che vincoli abbia il potere terreno, per non risultare assoluto. Locke pone dei vincoli, ma bisogna capire se sono vincoli veri o ricade nella prospettiva hobbesiana. Ma attenzione, la prospettiva hobbesiana è quella della fondazione dell’assolutismo statale, non della fondazione dell’assolutismo monarchico.
Hobbes e Locke hanno un medesimo obiettivo, quello di legittimare lo Stato, dopo di che Locke perorerà un certo tipo di forma di governo, ma in quanto a forma di governo dello Stato, sarà sempre e comunque una forma di governo assoluta, non sarà soggetta a vincoli esterni.