Guida allo studio della storia moderna. Manuale letteratura italiana, Casadei-Santagata.

Letteratura italiana medioevale e moderna-Manuale-Casadei, Santagata-Schedature
Letteratura italiana medioevale e moderna-Manuale-Casadei, Santagata

Le Rime. Sono composte da poesie giovanili non presenti nella Vita nova e da poesie della maturità. Consiste in quasi cento testi. Si crede la maggior parte di essi appartenga al periodo fiorentino precedente all’esilio. Sono testi di corrispondenza. Il metro usato è quello della canzone, salvo il sonetto Due donne in cima de la mia mente mia. La canzone si adatta meglio al discorso complesso di tipo morale poiché è allungabile a piacere e più libera. Tre di queste canzoni sono inserite e commentate nel Convivio. Poteva succedere lo stesso con le canzoni: Porcia ch’amor del tutto m’ha lasciato; Doglia mi reca ne ho lo core ardire; Tre donne intorno al cor mi son venute. Dante, almeno fino al Quattrocento, è il maestro della poesia morale. Rimangono fuori dalla Vita nova una ventina di poesie d’amore: sonetti, canzoni, ballate. Differentemente dalle rime rarefatte dedicate a Beatrice, una dona chiamata col senhal (soprannome) di Petra, ispira a Dante canzoni “petrose” (dure e crudele). Base di queste canzoni sono la sofferenza per l’ostilità dell’amata e l’estrema originalità dello stile. Dante riesce a far corrispondere la durezza del contenuto con quello dell’espressione.

De vulgari eloquentia. È il saggio coraggioso sulla lingua e sullo stile volgare, in un contesto in cui, nelle sedi istituzionali si usava il latino. Egli si occupa scientificamente del volgare. Mai è contraddittorio che Dante si serva del latino per una trattazione sul volgare: si rivolge ai dotti, cioè a colore che con l’esempio e i loro scritti, se persuasi da Dante, potevano sostenere il suo progetto di definizione e diffusione di un volgare adatto alla comunicazione letteraria. L’opera è incompiuta, è interrotta a metà del secondo libro, probabilmente perché aveva l’impegno del Convivio da una parte e della Commedia dall’altra. Sarebbero comunque seguiti due altri libri, uno sulla prosa, l’altro sul volgare “mediocre”, cioè sul registro comico. Anche se l0opera è incompleta, la sostanza del suo pensiero linguistico è contenuta nei capitoli scritti.

Dante vuole definire un volgare “illustre” in grado di competere col latino, a livello di comunicazione colta. Le leggi della poesia approfondite nel 2° libro volgono anche per la prosa, visto che nel Medioevo la distanza tra prosa e poesia era assai piè breve di oggi. Entrambe hanno le stesse regole retoriche e linguistiche e funzione, nel De vulgari di Dante esprime più o meno esplicitamente, un giudizio di valore riguardo la poesia del suo tempo. Egli è molto ben informato sulle varie forme regionali della poesia e su quelle francese e provenzale. Cita e apprezza Guido delle Colonne, Giacomo da Lentini, Rinaldo d’Aquino. Tra i trovatori nomina Bertran de Born, Guirant de Vornelh, Armant Daniel. Citerò quest’ultimo nel canto XXVI del Purgatorio. Alcune canzoni petrose e la sestina. Al poco giorno imitano in modo evidente testi di Armant.

Il Convivio. È, in un certo senso, la realizzazione pratica del progetto del De vulgari. Egli usa il volgare, infatti, per affrontare temi e problemi che fino ad allora erano stati affrontati solo in latino. Si tratta di un commento. In quest’opera dante riprende alcune sue canzoni e dedica a ciascuna di esse un trattato che le spiega parola per parola e ne rivela il significato allegorico nascosto sotto la lettera. È un’opera incompiuta. Ne risulta un proemio e tre commenti a rispettive canzoni: Voi che ‘ntendendo, Amor che ne lo mente, Le dolci rime. È la struttura dell’opera a influenzare la scelta della lingua. Visto che la prosa dei trattati è al servizio delle poesie con cui ciascuno di essi si apre e visto che queste ultime sono scritte in volgare, allora anche il commento è in volgare. Oltre a questa motivazione, però, ce ne sono altre: il latino sarebbe stato compre da pochi, non sarebbe stato-quindi-corretto aggiungere difficoltà a difficoltà quando si affrontava il commento; il volgare, per quanto giovane, per quanto senza la tradizione culturale millenaria del latino è già maturo per poter essere usato nello spigare anche i concetti più difficili.

Monarchia. Composta dopo il Convivio, consiste in tre libri. Procede in gran parte la Commedia. È un trattato di teoria politica che difende l’autorità dell’impero contro le pretese temporali della chiesa. È un testo che interviene sull’attualità.

Negli anni dell’esilio il conflitto tra Chiesa e impero si aggravò. Schierarsi dalla parte dell’impero significò affermare un principio di dottrina politica ed esprimere un giudizio sulla realtà contemporanea. L’opera ebbe fortuna subito dopo la morte di Dante fra i sostenitori dell’imperatore e fra i laici fondatori di una separazione dei poteri. La Chiesa reagì’ con violenza: l’opera fu confutata (tra gli altri da Guido Vernani) , condannata al rogo come eretica dal cardinale Bertrando del Poggetto e iscritta, fin quasi al Novecento, nell’Indice dei libri, proibiti. La monarchia, in Dante, è l’impero, non un regime astratto. Il primo libro risponde alla domanda se l’impero sia necessario per il “buon ordinamento del mondo”. Il secondo libro pone la domanda se il popolo romano avesse assunto legittimamente il potere imperiale. Dante dice che l’Impero romano prevalse non grazie alla forza, ma per volontà divina (la provvidenza). Il terzo libro si chiede se l’autorità del monarca romano dipenda immediatamente da Dio o dal papa, vicario di Dio. Qui cambia il modo dilla sua argomentazione: osserva che le tesi dei curialisti non trovano alcuna conferma nei testi sacri; poi parla della donazione di Costantino (non ancora sbugiardata) e certo riconosce il compito papale di conferire o togliere l’autorità imperiale, tuttavia, la considera nulla sul piano giuridico perché 1) Costantino non aveva il potere di disporre a suo piacimento dell’impero e 2) il papa non aveva il potere di accettare beni terreni come precisato nel Vangelo. Dopo la confutazione espone i propri argomenti: 1) l’impero non può essere soggetto alla Chiesa perché è nato prima 2) nulla e nessuno hanno dato autorità alla Chiesa sul monarca, e qui nomina le leggi di natura, la Bibbia, il consenso delle genti, l’imperatore, 3) Gesù ha affermato che il suo regno non è di questo mondo. Perciò il potere dell’imperatore discende direttamente da Dio. La Chiesa deve guidare gli uomini alla salvezza eterna, l’imperatore alla felicità terrena.

Le Epistole. Di Dante ci restano circa una dozzina di lettere, tutte in latino, tutte del periodo dell’esilio. La maggior parte di esse si riferisce all’attualità politica e alla situazione fiorentina. La più importante è quella a Cangrande della Scala. La lunga lettera accompagna un dono, il Paradiso, che Dante gli dedica. La lettera fornisce un’interpretazione generale sia del Paradiso sia dell’intera Commedia. Sarebbe (ma non è certo) una lettura d’autore alla propria opera. Se la lettera non è di Dante, una critica molto sottile al suo lavoro. La lettera è in 33 capitoli che si rappresenta come “introduzione” alla Commedia e distingue 2 livelli di significato letterale e uno allegorico. Fuori da questa definizione restano gli aspetti più caratteristici della Commedia, facendo dubitare dell’autorità.

Egloghe. Sono l’eccezione nella produzione poetica dantesca tutta in volgare. Sono 2 esametri in latino di ambientazione pastorale inviati a Giovanni del Virgilio.  Sono ispirate alle Bucoliche di Virgilio.

La Commedia.

Quali le ragioni del titolo? Le due spiegazioni più plausibili valorizzano una la forma l’altra il contenuto dell’opera. La Commedia si chiamerebbe così perché scritta in uno stile “medio” consono alla commedia. Secondo altri, il titolo si collega alla trama: nella tragedia le cose vanno bene all’inizio, ma poi si complicano e finiscono male. Nel genere “commedia” al contrario la situazione iniziale è generalmente svantaggiosa, ma migliora nel corso dell’opera, fino al finale risolutivo di tutti i problemi. Una spiegazione non esclude l’latra comunque. La durata del viaggio di dante è di 7 giorni e non è solo, nell’Inferno e nel Purgatorio, fino alle porte del Paradiso, lo guida il massimo poeta latino, Virgilio, simbolo della ragione umana. Virgilio è uno spirito grande, ma è un pagano non illuminato dalla fede cristiana. Egli consiglia e protegge Dante dai pericoli che incontra sul proprio cammino e risponde ai suoi dubbi sui luoghi attraversati, sul significato e lo scopo delle pene, l’identità dei peccatori. Nel Paradiso la guida di Dante è Beatrice, la donna amata in gioventù, già considerata un’anima eletta in gioventù nella Vita nova. Beatrice risolve i dubbi di Dante relativi alla dottrina cristiana. Le 2 guide hanno diversa funzione e autorità. Beatrice si è mossa dal Paradiso e ha pregato Virgilio di aiutare Dante a uscire dalla selva in cui s’era perduto. Beatrice lo riscatta dalla condizione di peccato. Quando Dante e Beatrice si incontreranno in cima al Purgatorio, Beatrice chiarirà che la visione dell’Inferno e del Purgatorio era necessaria per ottenere il pentimento e la salvezza eterna di Dante. L’Inferno è raffigurato come un gigantesco cono sotterraneo la cui base coincide con la superficie dell’emisfero boreale, con al centro Gerusalemme, e il cui vertice si trova al centro della Terra. La voragine è stata creata dalla caduta dell’angelo ribelle Lucifero. L’enorme massa di terra spostata dall’impatto ha creato, agli antipodi del nostro emisfero, la montagna del purgatorio. In cima vi si trova il Paradiso terrestre. Da qui, dopo aver attraversato l’Inferno e il Purgatorio, Dante e Beatrice salgono in volo attraverso i 10 cieli in cui, secondo i medievali, si suddivide l’universo. È un viaggio dalla Terra all’Empirico. I peccatori dell’Inferno sono distribuiti in cerchi. I vizi e le colpe di cui si può macchiare l’uomo sono classificati da Aristotele nell’Etica Nicomachea, riprese fedelmente da Dante. Più si discende verso il centro della Terra, più i peccati si fanno gravi e le pene più crudeli. Nell’Antinferno si trovano gli ignari, il Limbo ospita i morti non battezzati. Nel Purgatorio i peccatori son distribuiti con lo stesso principio dell’Inferno, ma con due differenze: mentre l’Inferno e il Paradiso sono eterni, il Purgatorio è destinato a svuotarsi; l’ordine è invertito dalla colpa più grave a quella meno grave.

Nel paradiso non c’è una gerarchia di beatitudini: tutti i beati vivono nell’Empireo e contemplano Dio in un’eterna condizione di felicità. Tuttavia, per ragioni di simmetria e strategia narrativa Dante immagina che le anime scendono dall’Empireo per farglisi incontro ciascuna nel cielo che ebbe l’influenza maggiore nella sua vita (Venere, Marte…).

Nell’Inferno e nel Purgatorio le pene vengono inflitte per contrappasso. Sia la visione sia il viaggio attraverso mondi immaginari e soprannaturali sono strutture narrative molto diffuse sia nell’agiografia sia nei vangeli apocrifi sia in testi appartenenti a tradizioni straniere. Nella Commedia Dante adopera una forma metrica di cui non si trovano, prima di lui, altre attestazioni: la terzina “incatenata”. È una forma aperta, allungabile a piacere a seconda delle esigenze del discorso. Forse tra le ragioni di questa scelta vi è una ragione simbolica, cioè il ritorno al numero sacro tre. Ha anche una insostituibile funzione narrativa; consente di sviluppare il discorso in modo ordinato e omogeneo entrando la monotonia delle rime baciate. La caratteristica saliente del poema è la polarità tra registro basso e registro alto, tra simile e sublime. Nella raffigurazione dell’Inferno lo stile è aspro, realistico, talvolta triviale. Non disdegna di termini della lingua popolare, allineando nomi di luogo e persona foneticamente rari, buffi o spaventosi. Per il Purgatorio e il Paradiso lo stile è diverso. Qui si deve dare conto delle gerarchie angeliche, della forma e della funzione dei cieli e si affrontano delicati temi teologici. Dante qui fa largo uso di latinismi spesso ricavati dal linguaggio scolastico e teologico. Dante inventa insieme ai dettagli della visione, le parole che servono a esprimerla.

La fortuna. Fortuna per Dante ha il senso specifico di “successo nel tempo”. La fortuna sterminata della Commedia, imparagonabile a qualsiasi altra opera medievale, inizio con la pubblicazione e conseguente circolazione per opera dei figli di Dante, Jacopo e Pietro, poco dopo la morte di Dante.

Da allora si inaugurò una tradizione esegetica. Ricordiamo le letture pubbliche fatte dal Boccaccio a Firenze. Gli umanisti del Quattrocento avranno da ridire sull’uso del volgare al posto del latino. Lo stesso Bembo Pietro, nella prima metà del XVI secolo, preferirà il raffinatissimo Petrarca al rozzo e diseguale Dante, proponendo il primo come modello di imitazione. Questo spiega parzialmente la sfortuna relativa della Commedia nel corso del Seicento. Sarà poi Giambattista Vico a rifondare la critica dantesca accentuando i caratteri del rapporto col sentimento popolare e con natura; la forza quasi barbarica della rappresentazione, la capacità di unire in sintesi perfetta fantasia e storia. Nel Novecento tre studiosi hanno dato contributi innovativi sotto il profilo interpretativo: Charles Singleton (rapporto Commedia e testi sacri e letteratura cristiana) Bruno Nardi (conoscenze filosofiche di Dante) Gianfranco Contini (lingua e stile).

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About the Author

Sergio Mauri
Blogger, autore. Perito in Sistemi Informativi Aziendali, musicista e compositore, Laurea in Discipline storiche e filosofiche. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d'Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014, con PGreco nel 2015 con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 con Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023 e con Amazon Kdp nel 2024.