Questi post su Belgrado sono il reportage di un viaggio fatto ad agosto 2013. Sono impressioni, ragionamenti, tentativi di mettere ordine ai miei personali ricordi, da un paese ancora emarginato dal salotto buono dell’economia e dalla politica mondiali. Buona lettura.
Belgrado all’alba ci appare come un improvviso miraggio dopo infiniti chilometri di campi e alberi. Intravvediamo una distesa di palazzi alla nostra sinistra punteggiata di svettanti campanili e numerose guglie che danno un po’ di movimento alla compattezza del cemento cittadino. Gli edifici cominciano a brillare al sole ancora forte di una splendida domenica mattina di fine estate, quando la corriera su cui ci troviamo impegna il Ponte Gazela sulla Sava. Sono le 5 e 40. La città sta ancora dormendo, ma iniziano a muoversi coloro che sono obbligati a farlo, per motivi di lavoro, compresi i tassisti, regolari o abusivi, che ci circondano nella speranza di guadagnarsi una corsa mentre recuperiamo i bagagli. Niente da fare: non abbiamo soldi da spendere, raggiungeremo il posto a piedi. A pochi passi scorgiamo un albergo. Si chiama Bristol. Decido di entrare da solo in una hall in perfetto stile anni ’70. Il portiere, nella sua ultima ora di lavoro prima di smontare dal turno di notte è un uomo prossimo ai sessant’anni. Un proletario rassegnato che tuttavia non esita ad aiutarmi, dandomi le indicazioni di cui necessito per raggiungere l’albergo, senza aspettarsi nulla in cambio se non un grazie, secondo il tipico stile socialista a cui è stato educato.
Ci incamminiamo lungo la Karadjordjieva. Poche le automobili e i passanti, tuttavia nonostante la quiete dell’ora siamo colpiti da una certa trascuratezza della città, dal suo aspetto polveroso, incompleto ed incoerente. Non ci sono segnali di insofferenza o rabbia negli sguardi delle persone che incontriamo al nostro passaggio. Sono piuttosto sguardi che testimoniano la fatica della quotidianità e la preoccupazione per il futuro. I giovani esprimono una spensieratezza che non è sinonimo di superficialità, come spesso avviene nelle città occidentali, ma di vigile e matura allegria. I più anziani, col linguaggio dei loro corpi, esprimono uno stato di sublime rassegnazione. Svoltiamo lungo la Nemanjina seguendo alla lettera le indicazioni del portiere d’albergo. Qualche centinaio di metri dopo, all’incrocio con la Milosa, vediamo ciò che finora avevamo visto solo nelle foto: i resti del bombardamento di Belgrado del 1999. Due edifici pesantemente danneggiati, pericolanti ma ancora in piedi dopo 14 anni grazie alla struttura d’acciaio portante. Una visione straniante che ci lascia interdetti, introducendoci alla faccia perturbante della città. Belgrado non è una città turistica e nemmeno un parco dei divertimenti. Lungo la strada, tuttavia, ci accorgiamo che la città è dinamica e vitale, abitata da più giovani rispetto alla media italiana, una città dove il cambiamento si vede e si sente, seppure non assuma mai le caratteristiche del tumulto. Abbiamo deciso di visitare Belgrado, una delle città più importanti della penisola balcanica, già l’anno scorso, un po’ per questioni di lavoro, un po’ per curiosità. Eravamo ben consapevoli della “stranezza” della meta rispetto ai canoni italiani ed occidentali in generale. Molti italiani ed altrettanti europei ancor oggi sono poco consapevoli della storia della ex-Jugoslavia e degli stati eredi della sua dissoluzione con cui l’Italia confina, sanno poco di una città come Belgrado, ex-capitale federale ed importante centro politico per i Paesi Non-Allineati che, in quanto organizzazione, continuano ad esistere. Di Belgrado, attualmente, non si parla affatto se non per la questione del Kosovo e comunque sempre in termini esotici. È invece una città dietro l’angolo, distante da Trieste meno di quanto la stessa non lo sia da Napoli. Ed è con questo spirito, con questa consapevolezza che ci incamminiamo attraverso le sue strade semi-deserte in una domenica mattina di fine agosto. Incrociamo finalmente la Beogradska mentre dalla rotonda Slavia ammiriamo sullo sfondo il tempio di San Sava. Dopo 10 minuti di strada arriviamo al Parco Tasmajdan e pochi metri dopo all’albergo mentre alla nostra destra inizia la città universitaria.
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