Belgrado è uno dei pilastri d’Europa. Se questo è pericolante, è l’Europa ad esserlo, a non essere al sicuro, a rischiare il crollo. Cammino lungo le strade di questa città e molte cose mi vengono alla mente. Belgrado è la nostra falsa coscienza, è tutto il nostro rimosso. Durante la guerra, un quindicennio fa, per razzismo o per disperazione, abbiamo abbandonato la Jugoslavia al suo destino. Non abbiamo creduto a ciò che aveva realizzato, alla necessità di preservare il suo lato migliore, quello dell’unità nella fratellanza. Poche voci, nemmeno accomunate dall’ideologia, hanno osato dissentire.
Ivo Andric, di cui ho già scritto, è stato uno dei fautori della Jugoslavia, convinto che l’accettazione delle reciproche differenze fosse un modesto prezzo da pagare al progresso di tutta la nazione, oppressa per secoli. Con questa coscienza visitiamo, nel nostro 4° giorno di permanenza nella capitale balcanica, il Museo a lui titolato, nel centro di Belgrado.I due custodi del Museo entrano immediatament in confidenza con noi, secondo i tipici canoni emotivi dei Balcani, parlandoci di Andric, della Jugoslavia, di Belgrado e della loro vita privata. Ci confermano che Andric era uno jugoslavista di fermissime convinzioni. Usciamo dal Museo e, combinazione, c’è il cambio della guardia al Palazzo del Governo a 200 metri da noi.
Procediamo in direzione Mihailova e ci deliziamo di una mostra iconografica.
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