Sembra che la kermesse artistica per eccellenza, di tutto il continente, sia stata un successo di vendite e di pubblico. Tutti ne parlano bene. A conti fatti, la Fiera ha attratto circa 92.000 visitatori, con un aumento di 6.000 unità rispetto all’anno scorso. Gli artisti presenti erano 4.000, le gallerie 285 provenienti da 34 paesi. Il valore totale dell’esposizione ammontava, secondo stime dell’assicuratore, a 4 miliardi di dollari. Un gioco ritagliato per i potenti, senza dubbio. Vendite in aumento, grandi nomi del collezionismo mondiale presenti e sborsanti, con le blue chips (immancabile Warhol, al pari di Beuys, Fontana e Baselitz) che si riconfermano trainanti per l’intero comparto dell’arte e qualche emergente di interesse. L’arte povera italiana sempre al centro dell’interesse internazionale, credo per quell’abilità, tutta italica, di trarre il massimo dal pochissimo.
Riassumendo, si è parlato molto di Brasile (presente con ben 4 gallerie) in questa edizione di Art Basel, certamente complici il suo (relativo) avanzamento economico e i mondiali di calcio. Tra i nomi interessanti: Fernanda Gomes, Erika Verzutti, Waltercio Caldas, Anna Maria Maiolino, Mateo Lopez, Beatriz Milhazes ed Hélio Oiticica. Ancora: Lygia Clark, Beatriz Milhazes e Adriana Varejão, che, però hanno quotazioni sostanziose.
Anche l’arte indiana (con due gallerie) ha segnato degli importanti avanzamenti. Tra gli artisti: Atul Dodiya e Hema Upadhyay. Buone le performance, che hanno dimostrato un certo fermento ed un aumento nell’interesse del pubblico….anche se a me, le performance, piacciono meno, per non dire per nulla. Le considero al di là di ogni tecnica significativa, una specie di forzatura in un contesto dove ancora tanti artisti cercano di coniugare messaggio, conoscenza profonda della storia ed abilità tecnica. Inserire una sorta di teatro concettuale o semplicemente performativo, appunto, forse nella direzione già sperimentata – con altri mezzi, certo – da un certo Wagner in passato, non ha dato molti frutti o lasciato eredità significative. Le mie preferenze andrebbero piuttosto ad un Peter Doig e ad un Matthias Weischer.
Tuttavia, e dulcis in fundo, da alcuni rumors sentiti ad Art Basel, chi ha voglia di guadagnare, dovrebbe puntare sui nostri Pino Pinelli e Gian Marco Montesano. Forse più sul primo che sul secondo. Questo comprando lungo tutto il 2014 e 2015. Inoltre, si segnalano degli ottimi investimenti in: Fontana (come al solito), l’Arte Povera, quindi Pistoletto, Giuseppe Penone, Mario Merz. Per chi se li può permettere, ovviamente.
Ma la cosa altrettanto importante che si è vista ad Art Basel si chiama, da una parte, pubbliche relazioni, dall’altra investimenti sicuri. Intrecciare rapporti duraturi fra persone dotate di mezzi economici e valorizzare i propri investimenti in un asset come quello dell’arte, ormai mercato alternativo per assicurare i propri soldi, è fondamentale per le classi dominanti di tutti i paesi. A questo serve (anche) Art Basel.
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