Vorrei qui indagare, brevemente, la fenomenologia dei rapporti sociali, allorquando essi si verificano fra diversi e, nella fattispecie, fra diverse classi o – in subordine – gruppi d’appartenenza sociali.
Le classi sociali, come per ogni differenziazione sociale, esistono perché è la società a produrle, attraverso i suoi concreti rapporti. Gli uomini, infatti, entrano in determinati rapporti sociali nel corso della loro vita che, in buona sostanza, consistono nella riproduzione di quel modo di vivere e nella sua evoluzione.
Si tratta, perciò, di rapporti generali e determinati e, in quanto tali, culturali nella più estesa accezione possibile. Se un africano invidia un europeo o un povero nutre lo stesso sentimento nei confronti di un ricco, ci troviamo non solo di fronte ad un atto culturale storicamente determinato (e assoluto rispetto a quella specifica determinazione), ma anche ad un sentimento irreversibile.
Il povero, il profugo, lo schiavo, invidieranno sempre il loro opposto, mentre i loro opposti non potranno mai nutrire tale tipo di atteggiamento. Da ciò deriva la constatazione che saremo in grado – in quanto specie – superare certi problemi, solo quando baseremo la nostra vita sociale sulla giustizia e l’uguaglianza. Due fondamenti etico/politici basilari, ma difficili da costruire e rendere operativi, come sempre è stato per i comunisti o la sinistra più in generale.
E’ – infatti – difficile scontrarsi con un capitalismo-consumismo che ha un messaggio di assunzione così semplice e fatto di oggetti e modelli edonistici che permettono un immediato successo personale, mentre di fatto mercificano l’uomo, svilendone persino le facoltà intellettuali. Ne discende che, per tutti gli uomini di buona volontà, i conti vanno regolati con il capitalismo-consumismo.
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