Che cosa è il dialetto? E’ una lingua potenziale che non è giunta al grado di lingua. E’, inoltre, la testimonianza che gli operai, i contadini e gli artigiani sono esistiti e, la loro cultura, in piena globalizzazione consumistica, continua ad esistere, seppure ridimensionata rispetto a ciò che, per convenienze materiali, è più in voga. E’ testimonianza di cultura altra e subalterna, in sostanziale alterità rispetto alla cultura dei dominanti, di coloro che hanno plagiato il mondo attraverso la propria lingua, escludendone chi non ne era in pieno possesso per questioni di censo.
La scelta di pubblicare un libro in versi dialettali triestini è coraggiosa e propedeutica al tempo stesso. Coraggiosa perché in controtendenza rispetto a tutte le mode, propedeutica perché ci fa capire dove puntare per fermare la distruzione delle culture altre e subalterne da parte della globalizzazione. Anche il dialetto, prova di quella ricchezza di biodiversità culturali che hanno messo secoli per affinarsi ed articolarsi, simbolo di una distinta appartenenza, è uno strumento fondamentale attraverso cui l’uomo si può esprimere e non semplicemente comunicare.
C’è dell’altro nei versi dialettali. Non solo un mondo tramontato nei suoi specifici accadimenti – come tutto effettivamente passa ed ogni istante è finito già nel momento di essere – ma un mondo che continua ad esistere poiché nulla veramente sparisce, ma semplicemente si sedimenta già nel ricordo che si riverbera nel tempo, riplasmandosi ad ogni ondata successiva. Oltre la carrellata di storie, situazioni, oggetti e soggetti posizionati in quel tempo ed in quello spazio che le poesie dialettali ci fanno leggere con uno stile coerente: l’etica di quegli uomini che hanno dedicato tutta la vita all’impegno civile per la propria città e per l’Italia, perseguendo l’ipotesi di un mondo migliore. Ipotesi quanto mai impopolare in un’epoca cinica come la nostra che si permette di considerare con disprezzo tutto ciò che non si sottomette alle squallide regole di mercato.
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