Le Fiere d’arte, in questo caso contemporanea, sono diventate il punto di riferimento non solo per i collezionisti, ma anche per gli operatori privati ed istituzionali. Pensiamo sia un bene, avendo vissuto l’evento dall’interno, come visitatori, ci siamo resi conto che la cosa funziona, nonostante la nostra personale preferenza per le gallerie d’arte prese singolarmente, a cui rivolgersi dopo una ricerca sull’autore preferito e chi lo promuove. Organizzare questo tipo di eventi in una città come Verona è naturale, grazie alla sua centralità geografica nella zona più ricca d’Italia e vicina ai paesi del centro-Europa ed alla sua relativa opulenza in un momento di crisi economica conclamata. Il pubblico ha risposto numeroso all’evento.
Come avrebbe rappresentato Verona, qualora l’argomento gli fosse stato proposto, l’artista Alessandro Roma di cui vediamo alcuni lavori a metà fra la pittura, il collage e il decoupage nella foto soprastante? Non lo sappiamo, ma Verona si presta non solo a varie rappresentazioni strettamente artistiche, ma anche letterarie. Città antica e moderna, storica e commerciale al tempo stesso, cupa e lucente come in un giallo d’autore, si presterebbe proprio ad un romanzo dell’accoppiata Fruttero-Lucentini.
Verona è una città piacevole, dove l’antico del centro storico si staglia sopra tutto ciò che è più recente, senza possibili paragoni. Il suo centro storico è ben curato, opulento, con parecchie attività commerciali, tra cui molte grandi firme, dove è ancora possibile percepire il calore e l’umanità delle relazioni interpersonali costruite dalle generazioni che vi sono passate. Tutta l’attività turistica è lì concentrata. La cesura tra dentro e fuori le mura, tuttavia, è abbastanza netta e, potremmo dire, drammatica. Come lo è stata quella tra antichità medioevale e modernità. Fuori le mura, però, manca quel calore e quella umanità che si possono ancora percepire all’interno del loro perimetro.
Tornando alla fiera, occasione per fare il punto sull’arte contemporanea italiana, non solo dal lato della produzione ma anche e, soprattutto, della sua commercializzazione, abbiamo apprezzato la suddivisione degli espositori in due differenti padiglioni: quello degli artisti già affermati, tra cui diversi old masters, e le nuove proposte. Intanto ci preme far notare come l’arte italiana non sia appiattita sull’iper-contemporaneo, come lo sono ormai le fiere ed il mercato dell’estremo oriente. Ciò è sintomo di un nostro atteggiamento più conservatore (sicuramente) ma al contempo di una capacità digestiva e assimilatoria delle novità e dei linguaggi a portata di essere umano, con i suoi tempi ed i suoi modi che non saranno mai quelli di una macchina…o delle indigestioni. In ogni caso, ma non lo diciamo con enfasi critica, circa la metà delle opere presenti in fiera erano molto commerciali, salvando tuttavia l’equilibrio fra proposte nuove e minori e grossi calibri già notissimi o addirittura old masters.
Iniziamo un breve escursus di gallerie ed artisti esposti, con una breve nota campanilistica, ovvero la presenza della galleria triestina Torbandena, la più seria ed affermata della nostra città, con le sue proposte originali: Music, Murtic, Scheibl. La galleria d’arte (forse) più ricca di nomi e valori finanziari esposti era la Mazzoleni di Torino, con artisti come Karel Appel, Baj, Lam, Mathieu, Casorati, De Chirico, Afro, Adami, Scanavino, Fontana, Campigli. Una corazzata contro la quale è difficile battersi. Degna di nota la presenza di opere dell’artista-operaio, intellettuale, poeta Gaetano Orazio, membro della scuderia della Galleria 132 e vivamente sponsorizzato da Philippe Daverio, con alcune opere di varia grandezza. Singolare, nel panorama, la Galleria Cinquantasei di Bologna, in grado di proporre anche dei pezzi di arte sovietica.
La galleria più innovativa presente all’evento, a nostro avviso, era la Deanesi di Rovereto (TN), con una Dacia Manto in grado di portare molto lontana l’arte dell’illusione ottica (le sue opere vanno viste da vicino e dal vivo) oltre a quella del lavoro creativo manuale. La Galleria dello Scudo era una delle corazzate presenti ad Art Verona, in grado di proporre oltre al già citato Alessandro Roma, a cui abbiamo dedicato la prima foto panoramica, i cui lavori potrebbero essere dei sogni, degli incubi o delle nuove carte da tarocchi, nomi quali Balla, Adami, Burri, Chia, Afro, Boccioni, Carrà, Casorati, Manzoni, De Chirico, Pisis e molti altri artisti italiani di caratura internazionale. Detto fra parentesi, la Transavanguardia continua ad essere presente anche in questa fiera, a 30 anni di distanza dalla sua apparizione, anche se i lavori di Chia, Paladino, Clemente, Cucchi e De Maria risultano datati nel contesto generale.
Valerio Adami, e qui apriamo una parentesi sull’artista, lo abbiamo sempre un pò sottovalutato. Dobbiamo emendarci: si tratta di un grande artista. Non solo egli è promosso da molte delle gallerie che esponevano ad Art Verona ma è, al contempo, presente in molte collezioni importanti, in primis di grossi istituti finanziari oltre che in musei di rilievo (soprattutto in Francia). Tuttavia, vedere i suoi quadri dal vivo è tutt’altro rispetto al vederli stampati su una rivista, oppure in TV o in una foto digitale o analogica. L’esperienza è totalmente diversa e sicuramente merita viverla. L’accostamento dei colori in stesure piatte, a cui egli sembra affidare quasi tutta la dimensione espressiva, lo studio delle forme stilizzate senza profondità, corporeità e prospettiva, in una sorta di bidimensionalità di stampo fumettistico totalmente finalizzata all’espressione, appunto, sono, al tempo stesso, provocazione e innovazione. Un modo colto di rappresentare la realtà contemporanea nel nostro angolo di mondo, che nella banalità e nell’uniformità ha delle caratteristiche peculiari e, diciamo, vincenti.
Degni di nota sono anche gli artisti Pizzi Cannella e Pistoletto promossi dalle gallerie Marchese di Prato e Bagnai di Firenze. Due artisti ormai collezionati ed ampiamente stimati da istituzioni varie e spinti molto bene dal mercato. Sul secondo c’è molta più concettualità che lavoro su un supporto qualsiasi ma al gusto non si comanda, né nel bene né nel male. Nel primo caso invece abbiamo a che fare con un pittore eclettico nonostante la sua apparente omogeneità in cui coesistono (quasi) armonicamente tecniche dell’estremo oriente; figurativo e concettuale d’occidente.
Mancavano, tuttavia, i lavori di due emergenti come Frangi e Petrus, sebbene nel primo caso fosse presente la galleria che lo promuove, Officine dell’immagine, ma con altri artisti. Nel secondo caso non era presente la galleria di riferimento, la Italian Factory. Tra gli emergenti abbiamo notato il disturbante Tommaso Bet, promosso da Studio d’Arte di Grosseto di cui erano esposti due ritratti orridi di Monti e Merkel in cui non era chiaro se l’intenzione fosse quella di proporceli come due entità corrose dal potere e dall’avidità o come due alieni mutanti ma non ancora del tutto mutati.
Con Stefano di Stasio la Galleria Andrea Arte di Vicenza metteva in mostra concetti a volte paradossali attraverso una tecnica iperrealista e perciò inquietante ed in fondo ambigua. Perlini Arte, una galleria presente sia a Reggio Calabria che a Padova, proponeva invece la coloratissima e giovanissima Chiara Sorgato, creativa e vivace come i suoi olii.
[ – continua -]
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