Negli ultimi sessant’anni siamo passati attraverso una molteplicità di movimenti artistici che si richiamavano alla sperimentazione e all’avanguardia, mentre si lasciava cadere la pittura come arte manuale e visiva in favore di tutto ciò che poteva essere concettuale o politico. Di politico c’era, in definitiva, ben poco: forse per una minoranza di artisti eticamente integri e cristallini. Nel frattempo questa nuova ondata che la metteva sul piano dello scontro sociale (generalmente senza esporsi troppo) non fece altro che facilitare l’accesso di mediocri ed ammanicati nel mondo dell’arte.
A onor del vero negli ultimi 20/30 anni un’inversione di tendenza c’è stata ed è ripreso un filone di pittura e riconsapevolizzazione della manualità, anche per reazione con la grave sostituzione operata negli anni precedenti. Questo attacco alla pittura è stato possibile grazie allo sviluppo tecnologico, produttivo e finanziario degli anni seguenti la ricostruzione ed al distacco dalla produzione vera e propria a tutto vantaggio della “terziarizzazione” dell’economia. L’arte si “terziarizzava” di conseguenza e proponeva questioni astratte al posto di gioie emotive e carnali. Economia, politica, cultura ed arte si influenzavano a vicenda.
Parallelamente, il problema principale del collezionismo dagli anni ’50 del secolo scorso in poi è quello dello slittamento dello stesso verso un surrogato dell’opera pittorica, in virtù dell’ampliarsi della curiosità (massificata) del pubblico e alla necessità di una diffusione a livello alto, ma a costi accessibili. Come potete notare, questa parabola non è casuale, ha origini e dinamiche molto chiare nelle scelte di carattere politico ed economico.
Cambiare rotta? E’ molto difficile. Ma almeno possiamo cercare di valorizzare quegli artisti che della propria cultura ed abilità fanno chiara mostra ed impegno quotidiano, come già scritto in questo articolo.
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