Chi è l’autore? Egli appartiene a quella classe media o piccola borghesia che dir si voglia che, nell’esercizio del possesso e messa a valore dei mezzi intellettuali acquisiti, si pone non solo come percettore di un reddito non direttamente derivato dalla produzione materiale di beni/merci, ma pure come divulgatore, propagatore delle idee e dei costumi della classe dirigente; orientamento al quale conformare le grandi masse.
Chi è l’editore? E’ quella azienda o società composta da un management piuttosto che da una grande famiglia imprenditoriale che è parte integrante di quella classe dirigente di cui condivide storia, aspettative, progetti.
È vero, dunque, che l’autore è libero sul mercato (e dove dovrebbe esserlo, nella nostra società, dall’aristocratico-mecenate?) e vende, diciamo così, le sue capacità e peculiarità, ma all’interno di un contesto in cui ha corso un valore di scambio che inevitabilmente reifica ciò che egli ha creato. In questo contesto è scontato esistano uomini e donne dai comportamenti e dai valori più o meno conformi fra loro e/o alla società di cui sono parte integrante, ma è importante riconoscere che il modo di produzione crea un rapporto sociale cioè umanità.
Ora vorrei porre una domanda: un autore può scrivere per un editore molto potente di cui non condivide le idee? Una risposta per punti:
- la questione nella sua cornice morale, come un fiume carsico ricompare laddove si genera (miracolosamente?) un corto circuito tra morale e convenienza. La cosa è episodica, è ovvio, e proprio perché parlandone non la si affronta, scompare poi nei meandri delle nostre coscienze. Penso, inoltre
- al suo essere una questione impropria. Mi viene da sorridere al solo pensiero che qualcuno pensi seriamente di poter fare, all’interno di una Casa Editrice, qualcos’altro se non un lavoro inerente le buone lettere in maniera più o meno onesta e significativa. Questo al netto del mio amore per la metafora e il paradosso.
- Che strana sensazione sentir parlare di lotte all’interno di uffici patinati dove letterati, imprenditori, badilografi vari competono e/o collaborano per trasformare un’idea in un prodotto vendibile. Ah, no, vi diranno che ora non sono più patinati, quegli uffici; c’è la crisi!
- Attribuire alla professione di autore un di più di quello che è significa manipolare la realtà e le persone che vi operano rendendo un pessimo servizio alla collettività che non ha bisogno di eroi o esempi edificanti, ma semplicemente, di prendere coscienza delle proprie responsabilità nel costruire una interazione sociale sostenibile, giorno per giorno.
- A Sinistra, in particolare: non è che in questa polemica tutte le parti in causa (editori, autori, pubblico) hanno giocato di ambiguità per meglio navigare nel mercato gli uni e con la propria coscienza gli altri?
- E si, perché gli editori hanno accettato di buon grado di pubblicare dei contenuti “colti” per accalappiare una fetta di pubblico consumatore silenziando la costante ricerca del profitto attraverso questi prodotti “alternativi”; perché gli autori si sono costruiti una fama di “diversi” nel panorama attuale attraverso scelte che mai avrebbero intaccato il tanto criticato sistema né al livello della produzione/commercializzazione né in quello della pubblicità, grazie al copyleft; perché il pubblico-consumatore scarica su personaggi ed autori ciò che è, non è o vorrebbe essere. Delega de-responsabilizzandosi.
- Da Destra: ci si ostina ad attaccare tutto ciò che superficialmente si distacca dall’irregimentazione eludendo la questione che essa è finanziata anche dal “ciarpame di sinistra”.
- C’è sempre un argomento per contrastare o criticare qualcuno per creare un fragore di sottofondo attraverso il quale distogliere la riflessione o persino l’attenzione.
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