Breve saggio sulla One Belt One Road (OBOR) cinese.

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Le linee strategiche lungo le quali si muove la Cina hanno un respiro imperiale e, in quanto tali, si caratterizzano per una visione di lungo periodo, secolare. Questo respiro imperiale si compone di due sottoinsiemi:

  • quello della logica economica e
  • quello della realtà finanziaria

Il governo cinese dichiara di voler costruire o ultimare la costruzione dei seguenti corridoi economici:

  • Kazakistan –> Russia –> Europa
  • Mongolia
  • Vietnam, in convergenza con….
  • Tailandia –> Malesia –> Singapore
  • Birmania (Myanmar) –> Bangladesh –> mare
  • Pakistan –> mare

Gli ultimi due corridoi, uniti all’occupazione economica dello Sri Lanka da parte della Cina, rende esplicito l’accerchiamento dell’India.

Come si concretizzerebbero questi corridoi?

Si concretizzerebbero in strade, ferrovie, fibre ottiche, oleodotti. La questione dirimente, per i cinesi, non è la velocità di collegamento rispetto alla via marittima, ma lo sviluppo che si può creare lungo le tratte percorse dall’OBOR.

Perché l’OBOR?

Per far lavorare l’industria ed il commercio cinesi, per dare sfogo ed opportunità di consumo ai prodotti del gigante asiatico. In sostanza per allocare le merci dell’Impero di mezzo.

Il progetto, nel suo insieme, andrebbe a costare 5 trilioni di $; 1 trilione l’anno (la Cina aveva messo inizialmente nel piatto 100 miliardi di $, più una sessantina da parte di altri paesi asiatici ed oceanici) da investire in paesi che non hanno risparmio né affidabilità finanziaria.

I cinesi – quindi – dovrebbero scommettere sullo sviluppo dei paesi in cui si costruiscono le infrastrutture, di modo che poi i paesi stessi tornino i soldi alla Cina. (Va ricordato che, nel progetto, sono previsti sia investimenti che prestiti)

Quella cinese – peraltro – è una civiltà assolutamente pragmatica che non intende fare della filantropia né, tanto meno, intende perdere i soldi investiti. La cosa deve dare dei frutti, sia sul piano economico che politico, anche perché nel caso – per esempio – del Venezuela, la Cina avanza qualcosa come 60 miliardi di $. Si stanno studiando sistemi per ottimizzare il recupero di questo ed altri crediti, ad esempio con l’Ecuador.

Ad ulteriore esempio, i lavori fatti finora in Pakistan, riscontrano il problema che, quel paese, non riesce a pagarne gli interessi. Le imprese private cinesi – inoltre – non investono in questo progetto; vi investono solo quelle pubbliche, sostenute da banche pubbliche. Il problema – quindi – della Cina, in una fase di rallentamento economico globale, è quello di investire dei soldi che non torneranno indietro, facendo aumentare il debito, rinfocolando così le polemiche interne sulla cattiva allocazione delle risorse.

L’investimento cinese, negli ultimi due anni nell’OBOR è diminuito a causa di vincoli bancari, nonché per la mancata partecipazione dei privati. Non è un caso: solo per fare un esempio l’affaire Guo Wengui che continua ad accusare Wang Qishan (e stiamo parlando dell’alto livello dell’establishment) di alcune importanti malversazioni ed atti di corruzione nel sistema finanziario ed immobiliare cinese. Anche al netto dell’uso che gli americani fanno della questione Wengui, quest’ultimo infatti vive a New York, i nodi rimangono comunque ed il risultato è il restringimento della libertà di credito e di allocazione delle risorse.

I principali think-tank cinesi, interni al Partito, e il cittadino cinese medio, si lamentano del progetto, anche se, secondo le direttrici culturali di quel paese, il dissenso non va mostrato apertamente. Il fuoco cova sotto la cenere.

Secondo i dissenzienti sarebbe meglio aumentare e migliorare gli ospedali, le scuole, assistere meglio gli anziani ed aumentare le pensioni. I dissenzienti sono molto forti ed interni al Partito. Quasi 20 anni fa i cinesi hanno già snobbato i porti italiani (ci lavorò Prodi) in quanto piccoli e frammentati e con parecchi problemi di gestione e legalità. Per questo hanno poi comperato il porto del Pireo (hanno una concessione trentennale): per bypassare l’Italia, raggiungendo il cuore d’Europa con l’alta velocità Belgrado-Budapest.

Tra parentesi, così scrivevo sul Pireo:

Il Porto container del Pireo è stato preso in concessione trentennale dalla COSCO PACIFIC, compagnia di Stato cinese. La struttura è completamente recintata e controllata da uomini armati, lavora a pieno ritmo producendo grandi utili e senza curarsi del sistema Grecia al collasso. Le merci che movimenta sono direzionate lungo le mega-direttrici europee. Il Pireo è una testa di ponte del capitale cinese in Europa. Un’altra è Napoli e un’altra potrebbe diventarlo Taranto, se verrà realizzato il megaporto pugliese.

Peraltro si sono registrate alcune fake-news sull’argomento: per esempio che l’Europa stia investigando sull’operatività del progetto cinese per vedere se “è tutto in regola”. Purtroppo l’Europa non vuole o non è in grado nemmeno di far rispettare le regole sul territorio di propria competenza (il Pireo), figuriamoci in Serbia (che non è in Europa) o in Ungheria (che fa finta di esserci). Al di là delle chiacchiere, la linea già funziona anche se in condizioni non ottimali.

Perché, allora, il rifiorire di questi progetti e perché il governo italiano sembra manifestare così tanto entusiasmo intorno ad essi?

Personalmente un’idea me la sono fatta. Lascio, però, ad ognuno di voi l’onere di darsi una risposta esaustiva alla domanda.

Fonti: Global Times, China Daily, South China Morning Post

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About the Author

Sergio Mauri
Blogger, autore. Perito in Sistemi Informativi Aziendali, musicista e compositore, Laurea in Discipline storiche e filosofiche. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d'Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014, con PGreco nel 2015 con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 con Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023 e con Amazon Kdp nel 2024.

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