Fino a pochi anni fa non si parlava mai di Islam, ritenendolo remoto, ininfluente ai nostri destini; realtà religioso-folclorica di popoli lontani. Tutt’al più se ne parla negli ultimi anni – a causa della irrisolta questione palestinese, sulla quale certe organizzazioni politiche (vedi Hamas) riescono a costruire le proprie fortune, ma sempre con un grande seguito fra la popolazione – e si è imparato ad accettare di straforo questo tipo di discorso. Dall’11 settembre 2001, la questione diventa di attualità ed il bisogno di saperne di più, fondamentale.
A causa delle ragioni di cui sopra, la nostra concezione dell’Islam è stata per lo più stereotipata. La società islamica, al contrario di ciò che comunemente si crede, è caratterizzata da una pluralità di condizioni sociali e di costume, nonché da una complessità che è poi di tutte le società in quanto “organismi collettivi viventi” con delle proprie regole di funzionamento. La complessità, la differenza ed il cambiamento non sono, quindi, una prerogativa unicamente occidentale, ma sono proprie di tutte le società: anche di quella islamica che conta una molteplicità di popolazioni che hanno una comune matrice religiosa e usi sociali simili, ma non identici, e profondamente radicati.
Una prerogativa dell’Islam è quella di non essere religione a tendenza monolitica e ferreamente strutturata come il cattolicesimo cristiano. Da ciò consegue la non-esistenza di una linea unica ed incontrovertibile su tutti gli aspetti della vita che la religione giocoforza tocca. Il velo, ad esempio, non è un’invenzione islamica. La sua adozione, da parte delle musulmane, avvenne mediante un processo di costante assimilazione progressiva dei popoli conquistati: il velo era già in uso presso la società sassanide nel Medio Oriente cristiano e nelle regioni mediterranee all’epoca dell’avvento dell’Islam.
Il Corano attribuisce al termine hijab (velo) una valenza ambigua – negativa o positiva – a seconda delle interpretazioni e dei differenti contesti in cui esso è utilizzato. In nessuna parte del Corano è precisato come debba essere questo velo e pochi sono i riferimenti ad esso in rapporto all’importanza che ha assunto in quanto simbolo. Il Corano non obbliga le donne ad indossare il velo, semplicemente lo raccomanda. Esso individua nel velo un mezzo per affermare una diversità e un modo per difendere la propria dignità da eventuali attacchi. Il velo ha la funzione di segno di riconoscimento, marchio distintivo rispetto ai non credenti ed è anche uno strumento di difesa, in quanto segno di appartenenza sociale e religiosa.
Nell’Islam non esiste il concetto di rapporti sessuali finalizzati esclusivamente alla procreazione, anzi, numerosi sono i versetti del Corano che incoraggiano i rapporti intimi, essendo dovere del credente soddisfare il proprio bisogno carnale al fine di riequilibrare gli istinti e mantenersi sul retto cammino. Dalla constatazione e accettazione dei bisogni umani e dall’ossessione (comune al genere maschile) della certezza della paternità deriva la necessità di un severo controllo della sessualità ed in particolare di quella femminile. La logica sottostante il velo è, dunque, quella che nella donna vede una doppia natura: capace di sedurre e quindi di destrutturare l’ordine e, col velo, l’esser resa innocua e – soprattutto – intoccabile. E’ proprio in virtù di questo tema che la società islamica vede come protagoniste le donne ogni qualvolta ci sia una rivoluzione in atto: la prima struttura che viene messa in discussione è proprio quella dello status femminile rispetto al mondo che la circonda.
Quindi nell’Islam (ma anche da noi, sebbene la società patriarcale sia oggi fortemente edulcorata) tutto ruota attorno alla filiazione, più precisamente attorno alla garanzia della filiazione. Per mettere a valore questo, si deve controllare la sessualità e la verginità della donna. Proprio perché è sulla donna che si fonda la coesione del sistema familiare, cellula del sistema comunitario, la trasmissione delle tradizioni religiose, delle norme di comportamento, delle pratiche sociali e della salvaguardia del patrimonio culturale della collettività. La donna, attraverso il controllo esercitato sul proprio corpo, rappresenta l’oggetto principale della difesa comunitaria dell’identità collettiva. Parliamo di Islam, ma sentiamo la stretta parentela con il cattolicesimo che, nel controllo del corpo femminile, ha uno degli architravi insostituibili.
Anche il velo si inserisce in questa logica, volta a preservare l’integrità della comunità islamica. E’ quindi la donna, l’attore più dinamico e potenzialmente potente dell’Islam in rapporto ad un uomo che diviene fattore di sostentamento economico per la famiglia, accumulatore di ricchezze e quindi di benessere per i suoi e la comunità. L’Islam tradizionale, al pari di quello aggiornato nel tempo, è il risultato di un determinato percorso di sviluppo economico-sociale. Ovviamente, nel capitalismo decadente dell’Occidente questo modo di vivere ed intendere il mondo non può attecchire se non come forma di protesta, più o meno radicale, verso l’esistente. I nostri rapporti sociali sono profondamente diversi, motivo per cui anche la nostra religione tradizionale è all’angolo ed idiosincratica rispetto alla realtà sociale circostante.
Un’ultima considerazione sul tema. Qualche capoverso fa scrivevo come in Occidente
…la società patriarcale [fosse] oggi fortemente edulcorata.
Questo si spiega con la necessità sistemica del capitalismo-consumismo di creare un nuovo tipo umano, il consumatore appunto, con delle sue precipue caratteristiche: innanzitutto l’uguaglianza formale dei suoi cittadini-sudditi. Una uguaglianza decisa dall’alto, secondo cui un individuo, appena viene al mondo, ha gli stessi diritti al consumo di un novantenne. E, a tale scopo, deve imparare a combattere.
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