di Sergio Mauri
Saremmo dunque giunti a un punto di non ritorno in cui la tendenza vincente alla tecnicizzazione del mondo starebbe ormai per subire una definitiva battuta d’arresto per mezzo delle proprie contraddizioni. Tutto ciò, la nostra storia, starebbe per ribaltarsi nel suo opposto, starebbe per annullarsi cambiando radicalmente e definitivamente natura. Ci avvieremmo dunque a una palingenesi a tappe non solo forzate, ma anche molto celeri.
Parliamo della tecnicizzazione che è stata base e al tempo stesso risultato della concezione geografica e cartografica che ha disegnato il mondo dalla modernità in avanti, di quell’organizzazione della realtà circostante che sarebbe anch’essa giunta a fine percorso.
Il cambiamento climatico sarebbe dunque quel processo o quell’insieme di processi in grado di far saltare tutte le regolarità e le impostazioni politiche fin qui conosciute: da quella liberal liberista con la radicale diminuzione delle libertà, di consumare in primis, per chi se lo può permettere, non solo oggetti, ma anche mobilità, a quella socialista (incluso il cosiddetto socialismo di mercato) che vedrebbe non solo anch’essa una riduzione del consumo di beni e servizi che pregiudicherebbe la narrazione verso un mondo migliore e finalmente più opulento, ma vedrebbe il venir meno del fattore lotta di classe, peraltro presente anche alle nostre latitudini. Che dire poi del pregiudizio inferto alle teorie filosofiche inneggianti il trionfo della tecnica, addirittura anche nei confronti della soggettività del capitale che ha la tecnica come strumento?
Il XXI secolo si giocherà in gran parte su questa linea di contraddizione. Gli esiti del processo sono ancora da delinearsi con chiarezza; tuttavia, possiamo scorgerne la linea guida principale: aumento progressivo del controllo sulla cittadinanza, a scala globale, ottenuto attraverso la tecnologia. Ciò potrà comportare una serie di problemi e ribellioni che, almeno parzialmente, i detentori del potere faranno proprie.