Pagine da Federico Chabod, Lezioni di metodo storico, capitolo quinto, fonti in senso “restrittivo”, fonti scritte, a parte il caso di archeologi, numismatici, eccetera. Abbiamo due macrocategorie: le fonti scritte e le fonti non scritte. Tra quelle scritte abbiamo quelle documentarie (prodotte da autorità pubbliche e private) e quelle non documentarie o narrative. Il Principe di Machiavelli è una fonte scritta a stampa (è un trattato la cui prima edizione è del 1516). La Storia d’Italia di Guicciardini è una fonte narrativa, scritta per assolvere al fine di raccogliere una storia d’Italia. Lungo la linea del tempo, più ci avviciniamo a oggi, più “prevalgono” le fonti scritte. Nella preistoria, infatti, non esistevano fonti scritte.
Quale differenza c’è tra storia e storiografia? Storia = res gestae e Storiografia = historia rerum gestarum. La storiografia è un processo attraverso il quale un soggetto elabora, racconta gli eventi del passato.
Noi dobbiamo esercitare una critica di questi tipi di fonte, iniziando dal chiederci chi è l’autore del racconto. Se ha avuto una parte nel racconto, se forse difende una particolare versione del racconto. Se parla secondo posizioni personali; in questo caso il confronto con altre fonti è essenziale. Delineare il contesto è indispensabile.
Res gestae: ciò che è avvenuto. Il passato storico non è oggettivo. Esiste quel passato in termini di storia, senza lo storico? Esiste il passato senza memoria? Si, sono esistiti gli umani, gli eventi che hanno provocato distruzioni, eccetera. Il passato esiste, ovviamente (dimensione temporale). Ma il passato senza l’elaborazione storica esiste? Storia è conoscenza approfondita di meccanismi, dinamiche, di ciò che muove le cose. Noi conosciamo la storia per mezzo della storiografia, cioè quando inizia la storiografia.
Dagli inizi degli anni Novanta (post-modernismo), cadono molte certezze, si parla di storia come narrazione. Abbiamo ad esempio un autore, Haydem White (autore di Meta-History del 1973), storico americano, che sostiene proprio questo. Noi, quindi, abbiamo un’immagine del passato che comunque cambia nel tempo. Ma la storia non è solo narrazione, immagine, cioè retorica, ma anche fatto. Il passato è un magma che non conosciamo perfettamente. La conoscenza storica non è sperimentale, non si può riprodurre in laboratorio, ma ciò non vuol dire che non abbia o possa avere un alto grado di verosimiglianza/attendibilità.
Esistono res gestae, cose avvenute, ma per conoscerle abbiamo bisogno di procedimenti di ricerca da cui possiamo estrarle. La storia non è verità oggettiva; la critica delle fonti è la garanzia che ci si possa avvicinare all’attendibilità della storia.
Come si costruiscono le prove delle nostre assunzioni? Secondo White, la storia è solo retorica, narrazione. Secondo lui esistono i “tropi[1]”. Egli nega la “verità storica”. Lo storico utilizza, invece, dice Guido Abbattista, le fonti per costruire un’immagine attraverso di esse all’interno di un procedimento di argomentazione. Esiste quindi un’attendibilità della ricostruzione storica.
Si può parlare di uso scientifico della conoscenza storica, ma in un senso diverso rispetto alla matematica o alla fisica. Anche la conoscenza storica ha un laboratorio sperimentale, ma non ne scaturiscono delle leggi. Questo succede perché gli oggetti della verifica/analisi non sono matematicamente traducibili o dimostrabili. Quindi la non scaturigine di leggi non ha a che fare con la nostra incapacità, ma col fatto che l’oggetto della nostra ricerca è diverso rispetto a quelli della fisica, della matematica o della chimica.
Sotto il profilo della qualità della narrazione, è molto importante: la sintesi, l’appropriatezza di linguaggio, la cura dello stile letterario, la sintassi, la grammatica, la precisione terminologica, la correttezza, la proporzionalità. Esistono diversi livelli di esposizione storica che usano diverse retoriche.
[1] Il tropo o traslato è l’utilizzo retorico di una “deviazione e trasposizione di significato”, quando l’uso di un’espressione normalmente legata ad un campo semantico viene attribuito “per estensione” ad altri oggetti o modi di essere.