di Sergio Mauri
“Adequatio rei et intellectus” è una locuzione latina che può essere tradotta come “corrispondenza tra la cosa e l’intelletto” o anche “corrispondenza” tra la realtà e la sua immagine linguistica e concettuale. Fu coniata da Isacco Ben Salomon Israeli (vissuto tra l’850 e il 950 d.C.) e sintetizza la concezione di Aristotele. Si tratta di un concetto filosofico che fa riferimento alla relazione tra la conoscenza o la rappresentazione mentale di una cosa e la realtà oggettiva della stessa.
Nel contesto della filosofia della conoscenza, la “adaequatio rei et intellectus” è una delle definizioni tradizionali della verità. Secondo questa concezione, una proposizione o un’idea sono considerate vere quando corrispondono in modo accurato alla realtà a cui si riferiscono. La verità è quindi intesa come un accordo o una congruenza tra il nostro intelletto e gli oggetti o gli eventi del mondo esterno.
Tuttavia, è importante notare che questa definizione tradizionale della verità è stata oggetto di critiche e dibattiti all’interno della filosofia. Alcuni filosofi contemporanei sostengono che la verità non può essere ridotta semplicemente a una questione di corrispondenza tra le rappresentazioni mentali e la realtà oggettiva, ma richiede una comprensione più complessa e contestuale.
In sintesi, la “adaequatio rei et intellectus” rappresenta l’idea di una corrispondenza tra la nostra conoscenza o rappresentazione mentale di una cosa e la realtà stessa, ed è stata tradizionalmente considerata come uno dei criteri di verità.
