Che cos’è la storia? 13 domande con risposte.

Considerazioni sulla ricerca storica
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Come si può definire la storia?
Difficile dare una definizione assolutamente stabile di storia, anche in virtù dei cambiamenti culturali che si susseguono nel tempo, ma ci provo. Ci sono diverse idee che possiamo usare sull’argomento ‘definizione della storia’. Iniziamo dall’origine del termine dal greco antico ἱστορία, ovvero indagine visiva attraverso la opsis, la vista, ma anche attraverso l’udito l’akoé, il sentire ciò che si racconta o discute attraverso la parola (la lexis); i sensi da sottoporre alla conoscenza, alla capacità di ordinamento e selezione della propria cognizione, la gnòme. La storia può essere definita come passato che si racconta. Passato, ma anche presente e futuro, che si possono sia raccontare seguendo il tracciato dei riscontri fattuali, nei primi due casi; sia raccontare immaginando, speculando sulle possibili e/o probabili evoluzioni che si possono manifestare nelle occorrenze generate dalla struttura del reale. La storia è indagine e racconto. La storia non è, la storia si fa. La storia non è oggettiva, c’è sempre un intervento soggettivo in una ricerca, in un’indagine che modifica la percezione del soggetto e la posizione dell’oggetto attraverso le aspettative, le conoscenze pregresse e la cultura d’origine in chi quella ricerca compie.
Quali sono gli strumenti della ricerca storica?
Gli strumenti mutano a seconda dell’epoca da analizzare. Forse dovremmo parlare di strumentario più che di strumenti. Nello strumentario abbiamo fonti primarie e fonti secondarie. Poi metodologie atte a porre in collegamento i dati raccolti, cioè le fonti di cui sopra, inferendo quindi delle conclusioni da certe premesse. Ma senza commettere errori come il post hoc ergo propter hoc (cioè, attribuire a due avvenimenti che si susseguono di essere l’uno la causa dell’altro) oppure l’anacronismo, quando si attribuisce una moralità o una forma di pensiero di un’epoca a un’altra epoca. Poi l’abilità narrativa. Da esercitarsi con coerenza testuale e logica. Abilità narrativa che non deve necessariamente essere quella della snocciolatura linear-sequenziale dei fatti.
Che senso ha raccontare la storia?
Intanto, non so se si può veramente parlare di senso. La questione del senso è interna alla cultura giudaico-cristiana che è poi la nostra, anche se noi siamo cittadini di società molto secolarizzate, certamente non contigue alla religione e al sacro, contiguità esercitata da gruppi ristretti di persone. In un altro contesto, per esempio, la domanda sarebbe totalmente fuori luogo. Per esempio, il miglioramento economico o tecnico, non darebbero un senso allo sfondo della vita umana, nel senso che non ci deve essere per forza una ragione (magari la nostra) per giustificare o comprendere lo sviluppo tecnologico e dei mezzi di sostentamento. Ma, oltre a questo, potrei affermare che, raccontare in generale e raccontare una storia in particolare, sono un modo di esprimersi, di esistere, un modo di esercitare la propria umanità. Ci potrebbero, tuttavia, essere due sensi in un indirizzo di pensiero, diciamo, teleologico: un senso edonistico e un senso interno all’impegno civile. Nel primo caso il piacere di conoscere e di essere al centro di tale conoscenza, quindi di esserne riconosciuti; nel secondo caso l’impegno a dover dire e porre certe questioni agli altri componenti della comunità di cui si fa parte, con intenti chiaramente etici, con finalità – almeno nelle intenzioni – di aumentarne le conoscenze e il benessere. Un indirizzo quindi anche utilitaristico.
Che nesso c’è tra le storie narrate che si riferiscono al passato e il mondo di oggi?
Intanto, quello di un continuo confronto tra passato e presente. Capire le articolazioni del tempo, di cui la storia (e la storiografia) narrano, per mezzo di un confronto continuo. Da questo dialogo, da questo confronto, può nascere una modalità di intervento costruttivo sul mondo stesso, sul mondo che viviamo noi quotidianamente. Il passato continua a interrogarci e voler emergere nel futuro. Questa comparazione ci serve per intravedere le eventuali regolarità nei fatti, negli eventi, nelle azioni umane, ci serve per comprendere come si potrà svolgere il futuro, almeno per sommi capi.
Gli uomini del passato sono gli stessi di oggi, e noi saremo come quelli del futuro?
na domanda interessante, non priva di significati reconditi e che ci porta a formulare quesiti (paralleli) come: il mondo cambia o è sempre lo stesso? Gli esseri umani sono sempre quelli? Possono migliorarsi migliorando ciò che li circonda? Il cambiamento esiste o è solo apparente?
Da un certo punto di vista gli esseri umani hanno una continuità nella loro struttura psico-fisica, tale che, se prendiamo una bastonata in testa tutti proviamo dolore (a parte casi di “insensibilizzazione” neurologica) e in situazioni di pericolo proviamo paura (anche qui con le debite eccezioni). Abbiamo, quindi, una universalità umana che, in quanto tale, persiste, tanto che, per esempio, la psicologia socio-cognitiva, si è indirizzata a riconoscere quegli universali. E, da un certo punto di vista, un giovane ricompie molti dei passi un tempo compiuti dai più vecchi. Inoltre, non possiamo negare l’influsso, non sempre positivo, che le generazioni più mature esercitano su quelle più giovani, orientandone le scelte, talvolta i gusti, le convinzioni, ponendo le basi del presente e del futuro. Il ricompiersi dei percorsi ha, poi, a che fare con i contesti di realtà coi quali si interagisce: è ovvio che un abitante di un paesino della Mongolia avrà da interagire con un contesto diverso non solo rispetto a una megalopoli cinese, ma anche rispetto alla stessa capitale del suo paese.
Come non ricordare, accennandovi, al famoso testo nicciano Sull’utilità e il danno della storia per la vita, in cui l’autore sostiene ci debba essere un limite alla rimemorazione del passato, per non ricadere in una sorta di paradosso dell’asino di Buridano, e che magari il limite vada ricercato anche in virtù di una maggiore sanità mentale dei soggetti che altrimenti sarebbero minacciati dal ricordare sempre e tutto, in una ridondanza dell’elemento storico-fattuale, che si ripercuoterebbe sulla nostra capacità, volontà e necessità di prendere delle decisioni sul da farsi. È evidente che, a un certo punto, bisogna decidersi: ragionare comparando a lungo potrebbe essere controproducente.
È possibile compararci?
Tutto è possibile, anche agendo erroneamente, visto che comparare due contesti diversi pone il problema dell’anacronismo, di cui si è accennato, che vuol dire dare a culture, modalità di pensieri, contesti, un attributo di comparabilità nel tempo e nello spazio. Tuttavia, la comparazione va usata con coscienza e senza pretendere di spiegare esaustivamente, per mezzo di essa, la realtà.
È possibile giudicare la storia?
No, non è possibile giudicare la storia nel senso di attribuirle una morale. Non è possibile processarla e giudicarla in senso morale. Nemmeno processarla come si fa in un tribunale, cercando il colpevole. È, invece, possibile interrogarla per capire il perché delle scelte compiute dai vari attori, quindi, il perché della scelta di un’opzione piuttosto che di un’altra fra quelle possibili, cosa che dà un vero peso e significato agli accadimenti.
Che limite c’è nel raccontare il passato?
Il primo limite può consistere nella scarsezza o assenza di fonti di qualsiasi tipo e di valore gerarchico delle stesse. Questo succede soprattutto nei casi di indagine su fatti, eventi, personaggi molto remoti. Talvolta, questi problemi si verificano anche per casi abbastanza recenti, che spesso hanno a che fare con l’impegno dimostrato da quella società o quella persona a non lasciare nulla o quasi di sé ai posteri. Molte colte, per convenienza, non si sono lasciate tracce.
In quale scala spaziale o temporale possiamo raccontare il passato?
La questione della scala è importante, un po’ come in geografia. Le scale, comunque, comunicano tra loro, non sono mai completamente separate; per semplificare, il livello locale e quello globale sono l’uno l’altra faccia dell’altro. Proviamo a fare, per quanto riguarda la scala temporale, questo esperimento mentale: immaginiamo di dilatare il tempo fino a fermarlo; non ci sarebbero più eventi. Oppure velocizziamo il tempo fino a riprodurre in due secondi mille anni di storia; si verificherebbe una sovrapposizione degli eventi stessi. Questo per dire come sia importante il dimensionamento del tempo che, sebbene abbia una sua intrinseca relatività dimostrata non solo in ambito filosofico, ma anche scientifico, nella nostra dimensione è importante anche per capire la scansione degli eventi e le loro correlazioni.
Possiamo dilatare la scala o restringerla; cosa ne otteniamo?
Certo, per esempio come nel caso della domanda precedente. Ma anche in un altro senso: nel senso di una inclusione più o meno ampia di fatti, eventi, questioni e del loro reciproco intersecarsi. Sembra che, in questo caso, potremmo chiedere aiuto a una disciplina come l’insiemistica, il cui campo abbiamo inevitabilmente invaso. Ne discende un dialogo più in profondità su ciò che si diceva in una domanda precedente: cioè sulla possibilità di capire il perché della scelta di un’opzione piuttosto che di un’altra, fra quelle possibili.
Il revisionismo esiste?
Certo che esiste, però ognuno lo concepisce a modo suo. Ovvero: è evidentemente necessario aggiornare, emendare le nostre conoscenze sugli eventi storici, ma un altro conto è introdurre elementi falsi o discriminare arbitrariamente all’interno degli eventi per orientare la narrazione, il suo significato, allo scopo di raggiungere le proprie finalità di parte. Il revisionismo, in tal caso, è da ricomprendere nella categoria del negazionismo, anche se non la esaurisce.
Cos’è il negazionismo?
Il negazionismo è un fatto complesso. Può essere:
il risultato di un negare cosciente di atti e/o fatti esecrabili da parte di chi li ha compiuti direttamente, anche se, spesso, essi emergono, con uno slittamento temporale, dal profondo delle coscienze che li hanno rimossi, più o meno volontariamente. Nel contesto di accadimenti storici vasti e complessi è sovente la complicità di chi non ha compiuto quegli atti, ma si identifica con essi e chi li ha compiuti, per affinità culturale, ideologica o di basso interesse;
il risultato di sentire minacciato il proprio stile di vita, le proprie conquiste sociali ed economiche; in questo caso vasti settori della società possono essere negazionisti;
il risultato di un generale disinteresse e di una generale ignoranza della storia, di un mancato approfondimento dei temi negati, anche se negati, in questo caso, passivamente, per ragioni diverse rispetto ai punti precedenti;
il risultato di un processo di rimozione e allontanamento di tutto ciò che può essere problematico, come operazione, diciamo, normale della psicologia umana;
il risultato di un processo di autovalorizzazione della propria autorevolezza togliendola agli altri;
il risultato del pensiero binario e del bias cognitivo, cioè quella distorsione della realtà che il nostro cervello attua durante la valutazione dei fatti; sono automatismi mentali che ci portano a dare un peso e un valore maggiori a certi elementi a discapito di altri, generando le cosiddette decisioni veloci.
Chiaramente qui ho individuato alcuni punti sull’argomento, ma il discorso si potrebbe allargare ulteriormente. Forse lo faremo prossimamente.
Nessi tra storia e memoria.
Storia e memoria sono tra loro strettamente connesse. La memoria personale o collettiva può entrare nell’ambito della storia attraverso la ricerca e a questo punto attraverso lo strumento storiografico. Le memorie possono essere pubblicate e inserirsi in quel corpus storico che poi consultiamo per la ricerca o per farci un’idea sui fatti accaduti. Di rimando, la storia può divenire ambito di memoria di una comunità, di una società, di un popolo. Abbiamo dunque un rapporto dialettico tra le due dimensioni o se si preferisce, un rapporto tra loro definibile come biunivoco.

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About the Author

Sergio Mauri
Blogger, autore. Perito in Sistemi Informativi Aziendali, musicista e compositore, Laurea in Discipline storiche e filosofiche. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d'Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014, con PGreco nel 2015 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 e Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023.