Ricordate la maledetta invasione dell’Iraq di poco più di 10 anni fa? Ricordate le false armi di distruzione di massa, al cui falso abbiamo contribuito anche noi italiani (do you remember Nigergate?)? L’orribile situazione creatasi già dal 1991 con la prima guerra del Golfo, continuata poi nel 2003 con l’invasione del paese mediorientale, nulla aveva a che fare con l’allargamento della democrazia o con le famose armi o stronzate del genere. Se così fosse stato, il primo paese da invadere sarebbe stato il Pakistan, peraltro alleato americano e di tutti noi.
Gli americani e la coalizione dei giusti ci andarono per il petrolio, ma non solo in quanto materia prima, anche per il controllo del suo prezzo sul mercato mondiale degli idrocarburi che, notoriamente, è l’indice di riferimento per tutti i prezzi di produzione. Il petrolio entra in tutti i cicli di produzione a livello mondiale. Oggi, a differenza di 10 o 20 anni fa, gli Stati Uniti stanno producendo più petrolio, tuttavia non così tanto e, se qualcuno in Europa, sta aspettando le navi gasiere per l’approvigionamento, ha da aspettare ancora a lungo. Personalmente non sarei così sicuro di tutte le strombazzate riserve petrolifere dell’Arabia Saudita (vedi Michael Simmons col suo libro Twilight in the Desert pubblicato nel 2005).
Tuttavia la cosa strana è che, alla fine della fiera, si, i prezzi più o meno sono stati sotto controllo (negli ultimi anni un pò meno) ma gli Stati Uniti ‘sto benedetto petrolio non l’hanno avuto. La Cina si. Quando gli USA invasero l’Iraq la prima cosa che fecero fu quella di chiudere i pozzi per proteggerli. Risultato: appena l’anno scorso l’Iraq è ritornato a livelli produttivi veramente alti (a livello 1990) ed è diventato il secondo produttore dell’OPEC.
Gli Stati Uniti importavano, l’anno scorso, circa 340000 barili di petrolio giornalieri contro i circa 725000 giornalieri del 1999. L’affare c’è stato dunque? Si , nel limitare la produzione in modo da non far svalutare i petrodollari investiti nei decenni scorsi. Tuttavia, se l’Iraq oggi riprende a produrre e gli Stati Uniti non ne usufruiscono, a chi va il petrolio? Alla Cina, essenzialmente. Nei primi mesi del 2014 le importazioni di greggio iracheno sono cresciute, in Cina, del 31%. Dieci anni fa le importazioni cinesi erano quasi nulle. Si calcola, inoltre, che l’80% del petrolio iracheno di qui a vent’anni andrà in Cina.
La Cina sta investendo un sacco di soldi in questo business, direttamente in Iraq. Ma l’Iraq non è controllato dagli USA? La China National Petroleum Corp. (CNPC) ha investito 4 miliardi di dollari nell’industria petrolifera. L’anno scorso la compagnia produceva 299 milioni di barili. PetroChina e Sinopec hanno fatto lo stesso, acquisendo diritti sui pozzi ed estraendo enormi quantità di oro nero. I soldi a qualcuno vanno, indovinate a chi? A quando, allora un intervento diretto cinese per stabilizzare l’Iraq? Non sarebbe ora che gli USA ridimensionassero la loro presenza lasciando emergere i veri attori sul campo? O forse c’è una divisione dei compiti, per i quali, in un certo senso, il ticket del sacrificio americano è già pagato? I mercenari vanno pagati, no?
In una realtà di questo tipo, che senso ha parlare di mondo multipolare, o di alterità degli emergenti rispetto alle regole del mercato mondiale, o, ancora, di geopolitica? Dopotutto, perché rimanere in Iraq se non c’è un tornaconto? Politico ed economico principalmente. Garantire le forniture alla Cina, in modo che possa produrre beni per far procedere la globalizzazione (e le nostre multinazionali ad oriente come ad occidente) e garantire gli investimenti cinesi in America. Tutto si tiene, non c’è alcuna seria contrapposizione ideologica fra questi signori. Certo, non è detto che il gioco riesca sempre e comunque, ma troveranno un modo per negoziare: lo scontro non conviene né agli americani, né ai cinesi né ai russi. Né a nessun altro.
Fonte: Outsider Club
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