di Sergio Mauri
Il rapporto diritto-cultura è problematico. Abbiamo già visto “il comune senso del pudore”, ma potremmo citare “la diligenza del buon padre di famiglia”, che ha anch’essa un addentellato stretto con la nostra cultura e viene poi tradotto in una norma. L’idea del sillogismo giudiziario è chimerica, cioè in ambito giudiziario non possiamo utilizzare il sillogismo come forma di ragionamento. Gli illuministi si ritrovano davanti a una realtà tale che devono assolutamente affrontare. Attraverso i luoghi comuni, tutti noi partecipiamo delle questioni giuridiche. Tramutare i valori sociali in giuridici dovrebbe essere il compito della legge. Andare, dunque, incontro alle aspettative della società.
Certe sentenze ci dicono esserci una forzatura del diritto, che può essere consentita se si avvicina al contenuto dei nostri valori. Esempio: Cassazione penale del 2011 (una particolare sentenza, riportata il 23/2/2011 su Il Sole 24 ore a firma di Giovanni Negri). La questione è un’ingerenza mafiosa in un’attività commerciale (art. 513 bis, Codice penale). In primo e secondo grado i camorristi vengono assolti (“la fattispecie concreta non può essere sussunta nella fattispecie astratta”). La Cassazione pone rimedio, supponendo il reato (prima forzatura). Se guardiamo all’art. 1 del Codice penale, la supposizione è (molto) in contraddizione, proprio perché l’art. 1 cerca di evitare l’arbitrio. Parliamo del fondamento dello stato di diritto.
Il Codice penale dovrebbe caratterizzare le democrazie. I “cattivi”, i regimi totalitari, hanno un Codice penale senza “parte speciale”, quella con tutti i reati. Quella della “parte speciale” è un’idea che nasce in Italia, con Enrico Ferri.
Tornando alla nostra sentenza, qualcuno dice che la “parte speciale” è il vademecum dei criminali. Nella sentenza si specifica che si supera il confine rigido posto dal Codice penale. La sentenza supera il testo. Conclude che il reato c’è, rimandando, quindi, alla Corte d’Assise. Dunque, cosa succede? Si cita l’art. 25 della Costituzione per cui nessuno può essere condannato se non ha commesso il fatto. Sotto un certo profilo è una sentenza scandalosa, poiché cozza col diritto. Dal punto di vista formale è un’aberrazione.
Tornando alla nostra sentenza, dunque, essa piega lo stato di diritto. Ma noi siamo contenti, ecco l’emergere del lato culturale, le esigenze dell’opinione pubblica. Qui emerge anche un altro tema: esistono almeno due culture, quella del diritto e quella della mafia. In un contesto monoculturale noi consideriamo la nostra cultura come superiore; quella della mafia diversa e inevitabilmente inferiore alla nostra cultura.
Tutte le grandi società, anche nel passato, sono state multiculturali. In certi casi si è posto il problema, in un contesto di superiorità di una cultura: che ne facciamo delle altre culture?
Abbiamo avuto tre risposte: 1) assimilazione 2) segregazione 3) eliminazione. Con l’assimilazione devi uccidere la tua cultura per essere uguale a me. Si parla di genocidio culturale. Ciò significa che tutte le disposizioni vengono lette in funzione della cultura dominante. Le altre culture non riescono a formalizzarsi all’interno del discorso giuridico. Il concetto multiculturale si fa strada negli Stati Uniti negli anni Cinquanta. In quell’ambito del mondo più culture “da sempre” sono convissute. Abbiamo sempre avuto una sedimentazione delle culture. Esempio: la Scuola di Chicago, detta anche Scuola dell’ecologia sociale urbana, con studi sulle popolazioni immigrate negli anni Venti del Novecento. Si inizia dunque a parlare di culture e subculture. Si studiano le periferie. Nascerà poi il funzionalismo. Negli anni Cinquanta ci si riconosce come una società multiculturale, non per correttezza, ma perché gli altri non ci stanno più. I costi sociali nel non ammettere gli altri con le loro culture sono alti, non conviene più non riconoscerle. Si descrive un mondo in cui convivono varie culture e nessuna si può arrogare il diritto di considerarsi come dominante. Tuttavia, la legge è quella degli Stati Uniti e questo è, in un certo senso, un limite al multiculturalismo. Negli Stati Uniti la segregazione è abolita alla metà degli anni Sessanta del Novecento.
Vi è pure un multiculturalismo prescrittivo che descrive forme di relazione fra queste culture. Sono presenti nel mondo anglosassone e prescrivono diritti e doveri delle comunità culturali. Un prescrittivismo che ha come soggetto la comunità. Si parla anche della forma del Wall culture che crea delle separazioni con riflessi urbanistici, sia negli Stati Uniti sia nel Regno Unito. Ci sono altre società multiculturali come quella francese erede di un impero coloniale. Li la prospettiva è diversa, li l’attenzione non è sulla comunità, ma sul singolo che viene accolto alla luce dei principi della Francia, quelli del 1789. Vi è una comunità politica a cui tutti possono accedere. Questione Alsazia-Lorena: anche i tedeschi dell’Alsazia e Lorena mandarono i loro rappresentanti all’Assemblea nazionale, sono dunque parte fondante della nazione.