Le due cose che più mi piacciono di Adam Lindemann, uno dei più grandi e avveduti collezionisti di arte contemporanea al mondo, sono la spontaneità e la semplicità, doti che non sono poi così frequenti nelle persone di rango sociale molto elevato. Al contrario Lindemann è talmente tranquillo nei suoi panni da affermare, (quasi) candidamente, in un’ intervista di qualche mese fa su Forbes, di essere più addentro alla vita che ai soldi, anche se ha piacere di (o meglio preferisce) pagare i propri conti. C’è poi un terzo aspetto che lo contraddistingue: l’onestà. Forse dice pane al pane e vino al vino semplicemente perché se lo può permettere ma ha avuto il coraggio di affermare che il mercato dell’arte è meno etico di quello finanziario.
Ma la cosa di cui volevo parlare concerne l’apertura della sua nuova galleria d’arte, la Venus over Manhattan, che non ha immediatamente a che fare con l’aspetto commerciale, né con la sua collezione personale ma con un taglio più centrato sulla vita artistica in generale. Infatti, l’iniziativa prevede l’esposizione di opere prese in prestito da mercanti e galleristi, l’invito rivolto agli artisti di esibirsi, incontri, vita sociale ed artistica fusi assieme.
Lindemann ha aperto questa galleria proprio perché sa, come tutti noi, che l’arte è strettamente collegata con la vitalità e che l’aspetto commerciale (che ci pur deve essere) ha una dislocazione non centrale nel progetto. L’arte come scambio, condivisione, trasmissione di valori ed idee.
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