Dal sito del Collettivo Militant.
Io:
Premesso che il vostro concetto di antieuropeismo è un altro.
Il
sovranismo è l’altra faccia dell’europeismo come, storicamente,
liberalismo e fascismo si sono alternati per la bisogna e continuano
ad operare sottotraccia nelle nostre società occidentali. Ma anche
nazionalismo e globalizzazione. L’uno non esclude l’altra, ma
entrambi corrono sulla stessa linea delle necessità capitalistiche.
Il sovranismo a là Le Pen serve, con parole adatte ad irretire le
masse, a tutelare gli interessi del capitale. Non è mai esistito,
nei programmi di questi signori, nulla di anticapitalistico o che
potesse/volesse far danno al mercato. Se mi è sfuggito qualcosa in
tal senso, gradirei una lista di queste mirabolanti posizioni
rivoluzionarie.
Ma
se gli “aristotelici” avevano torto, la posizione di Le Pen e
Salvini, allora, era giusta?
Militant: Hai ragione. Il problema di questi anni è però convincere quel 60% di italiani che condivide il discorso sul recupero di sovranità nazionale delegata a istituzioni sovranazionali. Siccome in quel 60% c’è tanto proletariato, il problema non è aggirabile. E quel pezzo di popolo lo condivide perchè lo traduce istintivamente in recupero di quote salariali, welfare state, indipendenza politica. Un discorso maledettamente controverso, che non verrà risolto nelle posizioni ideali eccessivamente astratte (à la “nostra patria è il mondo intero”, se poi questo mondo è patria solo dei flussi finanziari), ma neanche – fai bene a rammentarlo – in quelle che solleticano il nazionalismo della piccola borghesia. Va trovata una quadra, ma il nostro discorso, da un pò di tempo a questa parte, è che questa famosa quadra non può essere trovata in vitro, in assenza di movimento reale, di conflitto e di partecipazione. Non se ne esce escogitando la migliore posizione teorica. Se ne esce con le lotte di classe, entro le quali un movimento (sempre più) cosciente saprà trovare la maniera migliore di articolare questi problemi che oggi sembrano irrisolvibili. oppure accantonarli, spostando il discorso altrove, imponendo nuovi ordini del giorno. Di certo non verranno risolti dalla pletora di Bismarck su facebook, ma neanche dal contraltare cosmopolita di un certo movimentismo che rimastica temi e parole di un ventennio fa in un mondo completamente altro.
Sono sostanzialmente d’accordo con la vostra risposta. Tuttavia, vorrei far notare che
- il proletariato è dappertutto nella realtà, mica solo nella questione dell’uscita dall’UE. Non concentriamoci solo lì.
- un tempo la quadra si trovava non in vitro, ma nella lotta di classe. Certo. Ma non è che forse la soluzione in vitro potrebbe essere (al livello di chiarimento della questione – leggi lotta di classe – cui siamo giunti noi di questi tempi) proprio quella della lotta (per ora piuttosto….. astratta) all’UE? Voglio dire: a parte il voto, un pò di rabbia e malcontento, nulla più!
- le posizioni teoriche e le parole sono strumento di lotta potentissimo. Ho conosciuto dei proletari che si sentivano “sostenuti” in ciò che facevano “perché erano stati scritti dei libri” sul socialismo, eccetera. Libri che non avevano mai letto. D’altro canto la Chiesa è presente da due milleni su parole che hanno mobilitato (oggi di meno, certo) eccome. Si tratta dell’astratto che diventa concreto e non c’è nulla di più concreto delle teorizzazioni indecenti delle classi dominanti. Per rimanere in ambito religioso, le cose e le teorie che non hanno basi concrete, osservabili, come la concezione di Dio, si sono dimostrate di una pericolosità (ancor oggi!) pazzesca.
- Sull’Italia non ho dati sufficienti, quindi al momento non mi sbilancio, ma tempo fa studiai la composizione di classe del populismo in GB: non è che ci fosse così tanto proletariato tra i votanti dell’UKIP.
La composizione di classe di chi ha votato i populisti dovrebbe essere indicativa: piccola e media borghesia che voleva conservare la propria posizione.
Sul
punto 2, la lotta alla Ue, per quanto al momento “astratta”,
rientra nell’individuazione teorica di uno dei “problemi
principali” dei nostri giorni. Il fatto che sia cavalcato dalla
destra in chiave nazionalista non lo rende meno centrale nell’attuale
strutturazione del potere politico-economico che ci riguarda
direttamente. Così come il vago antiamericanismo di destra non rende
meno centrale per la sinistra il problema dell’imperialismo
statunitense. Insomma, il parallelo forzatissimo secondo il quale se
una cosa “interessa” alla destra poi non può essere di sinistra
è una sciocchezza (ovviamente non stiamo dicendo che tu stia dicendo
questo, ma, ad esempio, il ridicolo dibattito sul “rossobrunismo”
lì va a parare: siccome la lotta alla Ue viene scimmiottata a
destra, allora è di destra. E via delirando).
Sul
punto 3, hai ragione: nessuno – tanto meno noi – solletica gli
istinti anti-intellettuali e anti-teorici cavalcati dalle classi
dominanti. Ci mancherebbe altro, noi crediamo nel valore delle
posizioni intellettuali, teoriche, ma solo quando queste lo sono
davvero! Il dibattito che si parla addosso della piccola elite
“intellettuale” del nostro paese non rientra in questo, e
crediamo vada proprio per questo smascherato con violenza, quindi
colpendolo là dove gli fa più male: demolendo l’aura di sacralità
di cui si sentono investiti gli “intellettuali” in questo paese
(e in Europa più in generale).
Sul
punto 4, non c’è proletariato tra i votanti dell’Ukip, ma –
crediamo – ce ne è tra i sostenitori della Brexit. L’Ukip è un
soggetto politico di destra. La Brexit non è un fatto politico di
destra, ma un fatto cavalcato dalle destre, che è una cosa diversa
(e infatti oggi si vedono tutti i limiti del falso confronto tra
nazionalismo piccolo-borghese e liberismo europeista:l’uno non
riesce a fare a meno dell’altro).
Punto
2: secondo me il cosiddetto “rossobrunismo”, triste termine ma
così è, è una cosa che stà tra una teoria revisionista del
marxismo e l’azione interessata di chi ci combatte (con gradazioni
e modulazioni differenti a seconda dei casi). Potrebbe essere
corretto trattare la cosa in questo modo.
Punto 3: assolutamente
d’accordo.
Punto 4: non ho detto che non ci sia proletariato
nell’UKIP. C’è come in tutte le altre formazioni politiche.
Sostengo non sia maggioritario. Alle ultime elezioni ha votato il
72,99% degli aventi diritto e su questi il 60% circa ha espresso un
consenso verso le formazioni populiste. In termini assoluti, parliamo
del 42-43% della popolazione italiana. In questo 42-43% non c’era
solo proletariato, ma molta classe media impaurita che non riesce a
mantenere certi piccoli o grandi privilegi (qui il discorso darebbe
lungo).
Da circa vent’anni, dopo la rovinosa fine
dell’esperimento sovietico, ed il rimescolamento di carte
conseguente, abbiamo sentito – per esempio – l’ineffabile
D’Alema (ed altri) sostenere che la Lega (partito populista, no?)
fosse una costola della sinistra e che fosse un partito operaio. Cosa
indimostrata, peraltro. Il dibattito sul populismo e la sua
composizione di classe, perciò, non è per nulla nuovo, ma ha
assunto nuova vitalità a causa della sostanziale pace sociale
vigente nel nostro paese. Siamo tutti in cerca di ispirazioni e punti
d’appoggio, è normale.
Mentre la finta sinistra pesca al
centro, noi dovremmo prenderci o interessarci all’unica cosa che si
muove. Ok, d’accordo, ci può stare. Tuttavia, secondo me, fatto
salvo il discorso sull’uscita dalla UE come parte di una strategia
più larga e complessiva, dovremmo rimettere al centro del discorso
la critica al modello esistente e la necessità di un suo
superamento. A prescindere dal momento e dalla situazione
contingente.
Lo so: è una parola!
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