di Sergio Mauri
Per comprendere quanto la matematica influenzi anche il diritto, dobbiamo partire dal fatto che grandi matematici del passato come Wilhelm Leibniz, Pierre De Fermat e Arcangelo Genocchi, erano oltre che matematici anche dei giuristi. È nella teoria delle decisioni che si ritrovano gli strumenti utili a risolvere problemi comuni in ambito legale. Il matematico De Finetti nel suo Trattato affronta “Il problema del cardinale Newman” che ha a che fare col modo in cui si accumulano prove indiziarie fino ad indurre un magistrato ad emettere un verdetto di colpevolezza. Si tratta della traduzione matematica del principio della goccia che fa traboccare il vaso. In particolare, si tratta del fatto che gli ultimi indizi, che riescono decisivi, hanno più valore probante dei primi. In questo caso vale la legge della produttività marginale decrescente[1]. La stessa emanazione di sentenze è un problema di decisione, in una situazione in cui è impossibile accertare completamente la verità. Una volta vagliate tutte le informazioni il problema del magistrato è quello di decidere in condizioni d’incertezza. Se ci avvaliamo dell’approccio dell’utilità attesa[2]possiamo inquadrare meglio il percorso del magistrato che si deve muovere tra tipo di reato d’imputazione, pene differenti in caso di sentenza sfavorevole, mettendo in conto i pericoli sociali in caso di assoluzione e la rilevanza del costo degli errori.
Il Teorema di Bayes o Teorema della probabilità delle cause ci aiuta a calcolare la probabilità di una causa che ha scatenato l’evento che si è verificato. Esso deriva da due teoremi delle probabilità: il Teorema della probabilità composta[3] e il Teorema della probabilità assoluta[4]. Dal punto di vista delle tecniche statistiche, per utilizzare le rilevazioni sui fatti accaduti, queste devono essere molto ampie per far sì che il campione rilevato sia affidabile e quindi la regola di decisione conduca ad una risposta corretta. Col Teorema di Bayes, allora, il problema è strutturato come problema di decisione includendo sia le probabilità iniziali che il costo degli errori.
A questo punto, dobbiamo affrontare anche la questione del controllo degli intermediari finanziari attraverso gli strumenti della teoria delle decisioni. Strumenti accolti a livello europeo da molti paesi come mezzi di controllo del rischio finanziario e a loro volta interrogati per prendere eventuali decisioni. Si tratta del valore a rischio (value at risk) ed è una misura che indica la perdita potenziale di una posizione di investimento su di un certo orizzonte di tempo ed un certo livello di confidenza[5] di solito al 95 o al 99%. Questa tecnica è usata dalle banche d’investimento per misurare il rischio di mercato delle attività detenute in portafoglio. Il valore a rischio ha tre parametri: il tempo; il livello di confidenza; la valuta utilizzata.
Dobbiamo, infine, ricordare le ulteriori connessioni fra matematica e diritto, ad esempio nel calcolo dei risarcimenti o nel caso dell’analisi matematica dei sistemi elettorali.
[1] La produttività marginale di un fattore può definirsi come l’aumento di output ricollegabile all’impiego di una unità aggiuntiva di un fattore produttivo, lasciando invariati tutti gli altri input.
[2] La teoria dell’utilità attesa si basa sull’ipotesi che l’utilità di un agente in condizioni di incertezza possa essere calcolata come una media ponderata delle utilità in ogni stato possibile, utilizzando come pesi le probabilità del verificarsi dei singoli stati come stimate dall’agente. L’utilità attesa è dunque un valore atteso, secondo la teoria della probabilità.
[3] La probabilità dell’evento composto è uguale al prodotto delle probabilità degli eventi componenti.
[4] La probabilità dell’evento totale è uguale alla somma delle probabilità degli eventi parziali, essendo gli eventi parziali fra loro incompatibili.
[5] In statistica non è sufficiente l’individuazione di un singolo valore. Si accompagna allora la stima di un parametro con un intervallo di valori plausibili per il parametro stesso.