E’ ormai chiaro a tutti che il modo con cui attualmente si produce, si consuma e si dilapidano le risorse della terra sta inesorabilmente portando alla rovina del pianeta. Lo sappiamo tutti da anni, ma ad ogni anno si aggiungono ai problemi ambientali già noti altri senza che comunque sia stato fatto alcunché per porvi seriamente rimedio mentre quel poco che si tenta di fare rimane miseramente lettera morta come le varie conferenze internazionali tematiche e, più vicino a noi, l’intera legislazione ambientale italiana. Nel frattempo la devastazione continua nelle modalità che sono sotto gli occhi di tutti.
Ma perché a tutti i bei discorsi ed ammonimenti che ci vengono propinati non segue niente di concreto? A me la risposta sembra banale, ma evidentemente non lo è, dato che molti credono ancora di poter conciliare il modo di produzione capitalistico con una politica rispettosa dell’ambiente, prospettando fantomatici “modelli di sviluppo alternativi” a quello attuale. In questi casi, siamo in pieno campo idealista dove si prospettano soluzioni che non tengono conto della realtà materiale che muove effettivamente il mondo in cui viviamo. E questa situazione è data da un sistema capitalista che si dibatte in una crisi che si approfondisce di giorno in giorno e dalla quale non ha vie d’uscita risolutive.
Non si possono quindi imporre agli imprenditori eccessivi costi aggiuntivi per rendere pulite le loro produzioni perché in questo modo diminuirebbero troppo i loro già risicati saggi di profitto e questo li disincentiverebbe dall’investire nella produzione con le conseguenti ripercussioni sulla situazione economica e sociale generale. Non si può neppure pensare di arrestare l’espansione della produzione o privilegiare alcuni settori rispetto ad altri perché da un lato l’espansione continua della produzione è uno dei pochi sistemi che può utilizzare la classe dirigente per recuperare parte dei profitti persi a causa dell’automazione della produzione, e dall’altro l’indirizzare la produzione verso i settori che comportino un minore impatto ambientale (ad esempio il trasporto ferroviario piuttosto che il trasporto su strada) priverebbe la classe dirigente stessa delle migliori possibilità di investimento, dato che a tutt’oggi l’industria automobilistica e quella ad essa connessa del petrolio sono comunque i settori trainanti dell’intera economia mondiale.
Rendiamoci quindi conto che in questa società il problema fondamentale è che sussista la possibilità per la classe dominante di realizzare sufficiente profitto e che se questa ipotesi non si realizza si digiuna tutti.
Non è quindi questione di modelli di sviluppo, ma di metodi di produzione; conciliare il benessere, cosa peraltro tecnologicamente realizzabile, con il rispetto dell’ambiente sarà possibile solo in una società in cui la produzione verrà programmata per rispondere alla esigenze della società (tra le quali rientra anche quella di vivere in un ambiente naturale intatto), ma per arrivare a questo non possiamo illuderci di potere continuare a convivere con gli inesorabili limiti e regole che ci impone l’economia capitalista.
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