Nel 1980, dopo una gavetta alla ricerca di reati valutari maturata in quel di Trapani,un giovane magistrato titolare di una delicatissima inchiesta su mafia e droga spedì una lettera ai direttori di banca della provincia di Palermo, chiedendo che gli fossero inviate tutte le distinte di cambio di valuta estera per le corrispondenti operazioni effettuate a partire dal 1975. Nella documentazione dovevano essere inclusi conti correnti e depositi bancari delle persone coinvolte nel processo. L’intuizione era la seguente: visto che la mafia opera per produrre utili da reinvestire a ciclo continuo (ma aggiungo che non lo fa solo la mafia) in attività legali e illegali, era sul piano della consistenza patrimoniale e finanziaria che doveva concentrarsi l’azione investigativa. Avrete capito che sto parlando di Giovanni Falcone il quale aveva capito che gli assegni bancari e le transazioni finanziarie avrebbero rappresentato le nuove impronte digitali del crimine organizzato. A distanza di 34 anni da quelle intuizioni nulla è cambiato. Anzi, è sempre più importante seguire la corrente dei flussi finanziari per risalire alla fonte. Basterebbero i numeri a indicare la preoccupante escalation del fenomeno. Nel 2000 – secondo i dati ufficiali dell’Ufficio italiano cambi – il valore totale delle operazioni sospette segnalate dai soggetti obbligati era di 471 milioni, 6307 era il numero delle segnalazioni e il valore medio delle operazioni non superava i 7000 euro. Cinque anni dopo l’esplosione: il valore dei flussi sospetti supera i 2,1 miliardi, le segnalazioni nel 2005 son salite a 16451. Il valore medio per operazione è di 130mila euro. Questa stima, sempre secondo l’UIC deve essere considerata come minimale del valore complessivo dei flussi anomali. La rete insomma riesce ad intercettare solo una piccola parte nonostante le maglie siano sempre più strette e gli operatori bancari e non, sempre più preparati.
Economia e criminalità.
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