di Sergio Mauri
III Capitolo. Delineare come la temporalità sia non costitutiva, ma come si presenti all’interno delle varie dimensioni in cui abbiamo delineato l’Esserci e il suo rapporto con il mondo. (Par. 61) Il senso temporale della Cura. Cosa significa senso per Heidegger? Significa avere una comprensione di ciò che vogliamo tematizzare in generale che rimane per lo più implicita, non argomentativa. È quindi una comprensione generale del progetto dell’Esserci, di tutto ciò che inerisce l’Esserci. È la comprensione implicita del fenomeno della Cura. Per cogliere il senso della Cura è necessario comprenderne la temporalità, ciò che in essa si dà come temporalità. La temporalità dell’Esserci è la Zeitlichkeit; la temporalità dell’essere è la Temporalität. Essi sono due modi diversi della temporalità. Tornando al senso, esso ha a che fare con la comprensione, non con la spiegazione, una comprensione per lo più implicita. Il senso si afferra, si coglie, non si argomenta. Il senso ontologico della Cura è costituito dalla temporalità (Zeitlichkeit). Temporale è tutto ciò che l’Esserci è e tutto ciò che l’Esserci esperisce. Temporale è la situazione emotiva, temporali sono le tonalità emotive, temporali sono la paura, l’angoscia, il discorso, la deiezione. C’è una temporalità dell’Esserci nel mondo e c’è una temporalità del mondo in quanto tale, la decisione anticipatrice racchiude il senso temporale dell’Esserci stesso. (Par. 62) La decisione è stata definita come quell’autoprogettarsi tacito e al tempo stesso pronto all’angoscia, l’autoprogettarsi nel suo più proprio essere colpevole. La decisione si situa nel cuore di quella tripartizione della temporalità (“triplice estaticità temporale”) che esprime il senso pieno della temporalità dell’Esserci. L’esser colpevole è proprio dell’essere dell’Esserci che significa essere il nullo fondamento di una nullità.
Heidegger, dunque, tematizza l’Esserci in quanto io. Decisione significa l’esser chiamato innanzi il proprio essere colpevole che, in quanto proprio dell’essere dell’Esserci, va inteso come un poter essere colpevole. La decisione in questo quadro si progetta come poter essere, si comprende in esso. Tuttavia, ciò che è deciso nell’impersonale non si può definire una decisione vera e propria. La morte non si aggiunge all’Esserci all’atto della sua fine, ma è l’Esserci in quanto Cura il gettato fondamento della sua morte. La morte non è qualcosa che arriva dall’esterno, è qualcosa che inerisce all’Esserci stesso per essenza. Così come gli ineriscono tutte le altre strutture esistente ed esistenziali. Il carattere ambiguo della nullità si svela nel momento in cui l’Esserci si appropria nella comprensione del suo essere–per la morte e di questo si può appropriare solo nella decisione anticipatrice. Altrimenti l’essere–per la morte fluttua nell’indeterminatezza che impedisce all’Esserci di coglierlo.
Nella prontezza rispetto alla chiamata della coscienza ci scuotiamo rispetto all’inautenticità del “sì”, ci sottraiamo alla smarrimento (perdizione) in cui l’Esserci è costretto anche con un certo agio, svela la perdita del se nel “sì”. La decisione anticipatrice include il suo poter essere, la possibilità della morte e mostra l’esistenza autentica. Con la decisione ci troviamo al cospetto della verità originaria dell’esistenza; l’Esserci che ha attuato la decisione diventa autotrasparente. Nella decisione, dunque, l’Esserci comprende se stesso ed è lo svelare e lo svelato, così come nella coscienza egli è il chiamante, il chiamato e il ridestato. L’Esserci è allora un atto e un evento o meglio un atto e un ente. La decisione è un atto di libertà. La decisione anticipatrice, dunque, è una possibilità di ripetizione di sé stesso. L’atto dello svelamento che produce una svelatezza può essere, in linea di principio, sempre ripetuto. Per un verso quell’atto conduce a un punto limite oltre il quale l’Esserci non può andare (carattere di finitezza, e per un grado di autocomprensione che non ha necessità di essere ulteriormente chiarito). Ripetere se stesso significa ricompiere la comprensione. Mantenere costantemente l’esser libero nella sua efficacia.
La decisione per come si collega alla morte, lacera il velo di ottenebramento che l’Esserci subisce nella quotidianità. La decisione non cade dall’alto, ma sorge dal basso. La decisione anticipatrice non ha a che fare con un’idea, al contrario con un intuizione, perché scaturisce da quell’autocomprensione che l’Esserci produce, innesca prima e sviluppa poi, nello sguardo sulla propria esistenza effettiva, sulla propria fattualità. La decisione anticipatrice per un verso mostra il senso originario del proprio esistere; per l’altro scaturisce da una precomprensione dell’Esserci rispetto a se in quanto esistente.
Riecco la circolarità del pensiero a cui Heidegger dedica un capitolo (apologetico). La circolarità non è un modo vacuo e vizioso, logicamente parlando, di argomentare, ma rappresenta l’unica possibilità che l’Esserci ha di autoriferirsi e di rapportarsi all’essere. Senza questa circolarità l’Esserci non potrebbe comprendersi. Quindi, la decisione anticipatrice non deriva da una idealità, ma scaturisce da una esistenzialità. È nella situazione complessiva dell’Esserci che si situa la decisione anticipatrice.
Perché la visione di sé come autotrasparenza non è immediata? Perché la situazione (ermeneutica) è una situazione sempre intrecciata con la dimensione della quotidianità. Quell’ente che l’Esserci è, dice Heidegger, è il più “ontologicamente lontano” perché nella quotidianità siamo smarriti e allontanati da noi stessi dalla comprensione ontologica di noi stessi. La ragione di ciò sta nella Cura stessa che risente della quotidianità medesima che l’Esserci deve lacerare per poter oltrepassare quella situazione.
L’essere dell’Esserci è tale da autointerpretarsi. Il fenomeno dell’ermeneuticità della comprensione permette all’Esserci di autointerpretarsi. L’Esserci è ermeneutico. Se esiste per l’Esserci la possibilità dell’autocomprensione, esiste per l’Esserci la decisione anticipatrice, ovvero quella decisione che gli permette di comprendersi come un tutto. Heidegger ribadisce la necessità del circolo, della circolarità di pensiero. Perché? Perché se l’Esserci è in sé, nella sua costituzione d’essere, tale da autointerpretarsi è evidente che l’Esserci è ermeneutico e poiché l’ermeneuticità si compie solo nella comprensione, allora è necessario che l’autointerpretazione dell’Esserci sia di carattere ermeneutico e di conseguenza di carattere circolare. Nell’analitica esistenziale, peraltro, il circolo non può essere evitato poiché la dimostrazione non dimostra affatto con le regole; il circolo è invece la struttura fondamentale della Cura.
La situazione emotiva in cui l’Esserci si ritrova è sempre una situazione ermeneutica e lo è tanto in quanto l’Esserci è ermeneutico.
(Par. 64) Il concetto di io. L’Esserci è quell’ente che legittimamente può dire “io”. La stessa struttura della Cura implica che l’Esserci assuma su di sé un’identità personale e di genere, nella misura in cui si dà una responsabilità nei confronti di sé e del mondo. La personalità indeclinabile mostra come tutto ciò che l’Esserci assume a partire dalla struttura generale della Cura, dal carattere sostanziale che è l’esistenza, l’Esserci manifesta come un “io”. Quindi, l’Esserci è una unità centrata intorno a un punto focale, che è l’io. L’unità dell’Esserci si centra sull’identità dell’Esserci stesso. L’io è ciò che tiene assieme la totalità delle strutture dell’Esserci. L’io allora deve acquisire un ruolo fondamentale per l’autocomprensione. Dall’inizio della modernità dell’io che è poi quella del soggetto si è caratterizzata per una precisa definizione del concetto di “io”. Questo “io” possiede determinate caratteristiche che sono fondamentalmente di tipo gnoseologico, a partire da Descartes. In Kant l’io è l’io penso (e anche l’io posso) che è il centro di tutte le rappresentazioni. Per Heidegger l’io è piuttosto quell’io posso kantiano privato però tolta la coppa della morale, e che si manifesta come quell’io che può essere, cioè come il poter-essere dell’Esserci. Questo poter-essere è un io posso, un io che è possibilità innanzitutto e in seconda battuta libertà. L’io allora può essere espresso dall’Esserci, può dire “io sono”, “io esisto”.
Tuttavia, sottolinea Heidegger, l’io fugge da se. Questa fuga da se è intesa come un equivoco rispetto all’io, è un dire io di un qualche cosa che non è propriamente un io, è un io fuggente. E se è un io fuggente è un io inautentico. C’è, dunque, un altro io che può esser compreso sul piano dell’autenticità. E l’io si può auto comprendere sul piano esistenziale, nel mondo, dalla comprensione del proprio essere e della propria esistenza. Quindi, io vuol dire l’ente per il quale ne va l’essere dell’ente che egli è.
La Cura, dunque, esprime se stessa come io innanzitutto e per lo più nel fuggente, ed è l’orizzonte in cui l’io può attestarsi come tale. E in ciò ci ravvisa la stabilità di se stesso. Si definisce dunque la ipseità (principio che afferma l’identità dell’essere individuale con sé stesso). Essa dev’essere esistenzialmente rintracciata soltanto nel poter essere sé stesso autentico, al compimento del sé. Il compimento è possibile solo nella comprensione di sé nell’autenticità, quindi nell’essere dell’Esserci in quanto Cura. E in base a ciò si spiega la stabilità di sé stesso, che è l’opposto della instabilità della indecisione nella deiezione. La stabilità in senso esistenziale è la decisione anticipatrice.
(Par. 65) Il senso ontologico della Cura è costituito dalla temporalità. A proposito del termine “senso”, dove Heidegger dice che senso significa ciò in cui la comprensibilità di qualcosa si mantiene senza venire in luce esplicitamente e tematicamente. Senso è ciò rispetto a cui ha luogo il progetto primario. Senso, riferito all’Esserci, è ciò rispetto a cui noi possiamo realizzare il nostro poter essere e il nostro progettare. Significa avere una comprensione del nostro poter essere e del nostro progettare. Possiamo dire che senso qui equivale a orizzonte di senso, ciò in cui si mantiene la comprensibilità di qualcosa. Il senso viene colto implicitamente e non tematicamente. Il senso ha (anche) a che fare con la precomprensione, con ciò che noi cogliamo, il modo dell’afferrare rispetto al modo dello spiegare e dell’argomentare. Senso è intuizione fenomenologica. La temporalità è quel filo di sutura che lega tutte le articolazioni dell’Esserci e, quindi, della Cura. Il senso dell’essere dell’Esserci non è qualcosa di nebuloso o esterno all’Esserci, ma è l’Esserci stesso che si autocomprende. La decisione anticipatrice è l’esser-per-l’essere più proprio e preminente.
L’esistenza non è qualcosa che si dà puntualmente, qui e ora; no, io esisto nel tempo. L’esistenza è quel modo d’essere dell’Esserci secondo cui l’Esserci trascende se stesso. L’Esserci esiste nel tempo, in quanto temporalità. Il nucleo della temporalità sta nell’avvenire, nell’evento. E l’Esserci è “adveniente” solo in quanto è stato, in precedenza. L’anticipazione della possibilità più estrema e più propria è il comprendente rivenire sul più proprio esser stato, quindi della comprensione del passato. Il passato, in un certo modo, scaturisce dall’avvenire.
La temporalità è costituita da un fenomeno unitario dell’adveniente-essente-stato. La temporalità unisce tutte e tre le dimensioni ordinarie nel tempo. In quanto determinato dalla temporalità, l’Esserci rende possibile a se stesso l’autentico poter essere unito. La temporalità si rivela come il senso della Cura autentica. Temporalità è dunque unione, struttura unitaria di tre dimensioni, le classiche dimensioni del tempo.