Eutanasia, Chiesa, cattolici.

Eutanasia, Chiesa, cattolici
L'eutanasia è un tema complesso e controverso che coinvolge aspetti etici, legali e religiosi. La Chiesa cattolica ha una posizione chiara e rigorosa sull'argomento, considerandola inaccettabile.

[Ultimo aggiornamento 04 agosto 2024]

[Febbraio 27, 2007]

Non vorrei pronunciarmi sulla campagna orchestrata dai radicali su Welby, ma focalizzandomi sul suo caso io mi chiedo se si possa davvero parlare di eutanasia. La nostra Costituzione riconosce il diritto a rifiutare le cure e se mi venisse diagnosticato un tumore nessuno potrebbe obbligarmi a sottopormi ad un ciclo di chemio, quand’anche le possibilità di guarigione fossero reali e la morte certa in caso di rifiutata assistenza. Facciamo ora il caso di una persona che soffre di una malattia davvero devastante come la Corea di Huntington, in cui tutti i muscoli del corpo sono in continuo movimento senza arrestarsi un attimo. In genere con la Corea di Huntington si muore abbastanza presto, ma non è detto. E’ del tutto verosimile che una persona che ne soffra per anni possa decidere di farla finita e chiedere aiuto ad un medico per praticare un’eutanasia: ad esempio somministrandogli una forte dose di barbiturici. In questo caso noi avremmo un intervento attivo farmacologico volto ad interrompere il ciclo naturale delle funzioni vitali che, senza di esso, continuerebbero ad andare avanti per conto loro.

Nel caso di Welby accade una cosa diversa. Welby non poteva vivere senza terapie di mantenimento, ed erano esse a mantenere in vita il paziente. Se conveniamo che il termine eutanasia si applica soltanto nel primo caso — cioè, quando si vuole procurare la morte per danneggiamento attivo di funzioni fisiologiche che altrimenti funzionerebbero per conto loro, forse il caso di Welby assomiglia più a quello di chi rifiuta il ciclo di chemioterapia, avvalendosi di un diritto costituzionale. In questo caso la sua volontà di morire configurerebbe semmai un caso di rifiuto dell’accanimento terapeutico.
Si è obiettato che nel caso di Welby non ci si è limitati a staccare la spina, ma vi è stata una previa sedazione del malato per non fargli provare le sofferenze dell’agonia. Questo configurerebbe un intervento eutanasico e dunque la colpa del medico. Io non sono sicuro del valore di questo argomento. Esso sembra suggerire che, se a Welby non fosse stata praticata la sedazione lui non avrebbe accettato di morire per paura del dolore, ma questo modo di “persuadere” il malato a rimanere in vita mi sembra inumano, in particolare in un epoca in cui la nostra medicina attribuisce grande valore alle terapie antidolore.

[Febbraio 24, 2007]

Penso che il laicismo ad oltranza dei Radicali sia solo un’altra religione, basata esclusivamente sull’essere sempre e comunque diametralmente opposti alla Chiesa, anche per motivi di marketing politico. È un atteggiamento stupido di chi non vuole ragionare e lascia che siano Pannella e Capezzone ad indicargli la via, non meno stupido di quello di coloro che si affidano al clero.

Per quel che mi riguarda, i Radicali sono degli sciacalli, capaci solo di speculare sui problemi della gente davanti alle telecamere per poi spendere il consenso ottenuto in accordi elettorali con un polo o l’altro a seconda della convenienza del momento.
Riguardo alla necessità di ragionare. Quarant’anni fa intellettuali come Marcuse e Pasolini evidenziarono come la decadenza dell’etica religiosa, in particolare l’avvento dell’amore libero, nascondesse in realtà la nascita di una nuova etica, falsamente libera, di un nuovo conformismo e di nuovi canoni più adeguati alla nuova situazione economica di benessere e consumismo. Così, ad esempio, se fino a sessant’anni fa chi rimaneva vergine era un virtuoso, oggi è uno sfigato.
Si sottovaluta l’influenza della Chiesa nella società. Nel corteo del 2 dicembre 2006 uno dei temi più ricorrenti era l’insulto a Luxuria ed in genere a omosessuali, transessuali ecc. E non è certo la prima manifestazione di omofobia in questo paese, sentimento che, nonostante il buonismo televisivo, rimane ancora ben radicato. Ora, nessuno me ne voglia, ma credo che la maggior responsabile di questa diffusa discriminazione, e della tolleranza di cui essa gode, sia oggettivamente la Chiesa, o meglio il retaggio cattolico persistente. Se per alcune categorie è ammesso il dileggio e l’insulto, mentre per altre (tra cui proprio il clero) non si consente nemmeno una parodia innocente, è a causa dei modelli culturali imperanti. E un pilastro della nostra cultura è proprio il cattolicesimo. Sebbene solo a parole, la maggioranza degli individui continua a professarsi cattolica, perché non farlo espone a discriminazione. Ecco perché il potere della Chiesa non è affatto minoritario. In soldoni funziona così: nella sfera privata, tolte le apparenze (messa ogni domenica, ma oggi nemmeno più questo), generalmente si segue l’etica laica e consumistica (rapporti prematrimoniali, gozzoviglia, eccetera), la quale non solo è quella imperante, ma è anche molto più comoda e piacevole di quella cattolica; invece nella sfera pubblica diventa facile sbandierare nuovamente la morale cristiana, specialmente contro le minoranze religiose e sessuali. Così questa maggioranza di non-cattolici continuano ad apparire cattolici, e alla Chiesa va bene così: l’importante è che ci siano sempre dei non-cattolici dichiarati da additare come modello negativo per i propri adepti.

Tornando a Welby.  Avevo tentato di distinguere il metodo dal merito riguardo le posizioni di Chiesa e politici: non mi irrita la loro opinione in sé ma il modo con cui la impongono, considerando che non li riguarda minimamente. Tuttavia pare che questa distinzione sia impossibile: se qualcuno (un mio pari, non un politico) non accetta un mio comportamento, anche se esso non lo danneggia in nessun modo, tenterà comunque di fermarmi. A nulla servirebbe ricordargli l’articolo 4 della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo del cittadino”: “la libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri”. Allora dico questo: se di ogni atto che noi liberamente compiamo dovessimo chiedere il permesso degli altri, non potremmo più fare nulla. Le leggi servono proprio a stabilire cosa nuoce e cosa non nuoce ad altri. Chi lo accetta ha superato il 1789, gli altri stanno ancora nel Medioevo.
Detto ciò: in questo caso è proprio la legge a non esprimersi. Se la moglie di Welby o altri staccassero la spina, potrebbero essere imputati di omicidio (è questo il motivo per cui Welby ha lanciato un appello pubblico, non certo per pubblicità!).  Lo Stato dovrebbe sì occuparsi di cose più importanti e tenersi fuori dalle nostre vite private,  ma non prima di aver sancito i propri limiti formali sotto forma di legge scritta. Di fatto, Welby non si vede riconosciuto il diritto di morire: o meglio, i suoi cari non hanno il diritto di lasciarlo spegnersi.

È un diritto giusto? A mio giudizio Welby, lasciandosi morire, non “nuoce ad altri”, tutt’al più a se stesso. Non so se al posto suo farei la stessa scelta (probabilmente sì),  ma sicuramente gli riconosco il diritto di compiere quella scelta. È sbagliato dire che sono “a favore”: è come dire che sono favorevole a che Tizio ordini spaghetti al ristorante. Non spetta a me essere favorevole o contrario, né a nessun altro eccetto Welby o un suo parente.

[Ottobre 6, 2006]

L’eutanasia è un tema su cui è difficile avere una posizione definitiva. E’ giusto che sia il singolo a decidere? A prima vista sì. E’ bello dire e dirsi: che decida il singolo; deve essere libero di scegliere il proprio destino. Oltre al giudizio del singolo e, ad esso formalmente contrapposto, c’è quello della Chiesa. Cioè, come a dire: o la Chiesa o la scelta individuale. Altro non esiste.
La posizione della Chiesa riflette gli interessi di un’istituzione millenaria, che nel mondo contemporaneo si riflette come potere di mediazione in virtù del suo essere collegamento con l’Assoluto.
La posizione di chi invoca la scelta individuale, invece, riflette lo schema delle libertà borghesi (libertà individuali che coprono scelte di classe).

Non è un caso che i radicali siano d’accordo con la libertà di scelta della “dolce morte” e se ne facciano promotori attivi, proprio in quanto agenti di una visione politica protestante e così radicata negli USA…

E che sottende, una visione (molto americana, appunto) della politica come amministrazione delle cose; delle cose incontestabili che concernono il capitalismo consumistico americano! Su cui non si può discutere.
Non ho una posizione definitiva, ma ne ho una che può essere migliorata ed eventualmente emendata.  Ed è: io non ho nessuna intenzione di concedere altre finte libertà – per di più accettate dal potere che non è usabile dai cittadini come vorrebbero – a un sistema che ci fa partecipare secondo uno schema di tolleranza fasulla, nel mentre è totalmente tirannico. Quindi, sono contrario all’eutanasia come viene intesa (per una minoranza di persone che non possono o non vogliono suicidarsi), non mi interessa che si abbatta anche questo muro. E non perché sia religioso: non sono credente.
Piuttosto che scegliere di morire è meglio battersi perché ognuno possa vivere meglio.

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About the Author

Sergio Mauri
Blogger, autore. Perito in Sistemi Informativi Aziendali, musicista e compositore, Laurea in Discipline storiche e filosofiche. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d'Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014, con PGreco nel 2015 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 e Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023.

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