di Sergio Mauri
Sulla scia di Hume, empirista, Comte, positivista, Mach, filosofo-scienziato, i neo empiristi vogliono fondare tutta la conoscenza sull’esperienza. Rifiutano le pretese della metafisica, visto che gli enunciati metafisici non hanno alcun rapporto con l’esperienza, quindi sono privi di significato. Nulla di nuovo: già Hume lo aveva detto e lo stesso Carnap lo aveva accettato. Tuttavia, la metafisica era rinata sotto lo stimolo degli idealisti (Fichte, Schelling, Hegel), ma anche dei marxisti. E poi, anche con Heidegger che negli anni Venti e Trenta faceva risorgere la metafisica.
Popper diceva che la metafisica, per lui, poteva essere una buona cosa e uno stimolo per la scienza, alla condizione che non fosse intellettualmente confusa e disonesta. Poteva anche stimolare qualche buona idea scientifica. Per Popper, Hegel e Heidegger erano l’abominio. I neopositivisti, o neo empiristi del Circolo di Vienna, condannavano qualunque tipo di metafisica, inclusa la teologia, poiché anche frasi innocenti come “esiste Dio” o “non esiste Dio” non possono esser controllate direttamente dall’esperienza.
Il neoempirismo fu influenzato dalla tradizione da Bacone a J.S. Mill, fu anche influenzato dai rivoluzionari sviluppi della fisica, tra il 1900 e il 1930, che condussero alla sostituzione della meccanica newtoniana con la teoria della relatività e la meccanica quantistica. A quel punto la meccanica newtoniana non funzionava più, né per gli oggetti grandi, né per quelli piccoli. L’incompatibilità di queste teorie (Newton e Einstein) faceva pensare ci fosse qualcosa di falso in entrambe.
Dal saldarsi delle acquisizioni della fisica alle teorizzazioni dei maestri del sospetto (Nietzsche, Freud, Marx) risultò una situazione per cui “nulla è come sembra” e che forse la realtà intera non esisteva. I circolisti di Vienna si resero conto di questa ondata di irrazionalismo che imperversava al loro tempo e cercarono di far fronte, dimostrando che i rivoluzionari sviluppi della scienza erano interni alla scienza, dentro la scienza, ma non erano la crisi della scienza, cioè non facevano buttare via le acquisizioni, piuttosto si doveva abbandonare l’ideale della certezza. Si rifletteva allora su una teoria scientifica in quanto provvisoriamente accettabile.
Lenin non era ancora a conoscenza della teoria della relatività, formulata nel 1905, mentre scrive Materialismo ed empiriocriticismo nel 1908. Lenin, però, conosceva Planck, maestro di Einstein, e lo ammirava. Planck aveva scoperto l’effetto fotoelettrico in cui l’energia aveva rivelato un che di quantico, cioè di non continuo. In questo, l’effetto fotoelettrico è già quello che mette in crisi un mondo esperibile con la matematica. Lenin sapeva di queste discussioni e alla fine dell’Ottocento lo studio del colore era cambiato, per opera di Maxwell ed altri che avevano formulato la termodinamica statistica. Ovvero le leggi termiche, prima studiate in senso qualitativo (colore come energia cinetica), poi lo fu in senso termodinamico statistico. Al tempo c’era anche la genetica di Mendel. Da questi due ambiti, affiorava un concetto di probabilità, cioè di una probabilità statistica come tratto distintivo del mondo e della natura. Ma la natura allora era indeterministica? La penetrazione della probabilità inizia a metà Ottocento. Lenin stesso parlò di crisi nelle scienze e non di crisi delle scienze. Per probabilità statistica si intende frequenza di certi accadimenti. La tendenza ad accadere. La probabilità induttiva, epistemica, la posso attribuire a qualunque enunciato. Se io attribuisco il 90% di probabilità che domani piova, questo è il mio grado di fiducia che domani piova, non è una tendenza intrinseca del tempo meteorologico. C’è una differenza tra probabilità statistico-fisiche e le probabilità induttive o soggettive. Entrambe entrano nella scienza, ma mentre le seconde ci sono sempre state, le prime entrano solo nell’Ottocento, come tratto della natura. Fu sconvolgente pensare che la natura avesse un tratto probabilistico.
Questi cambiamenti fecero si che i filosofi cambiassero sguardo. Di fronte all’inatteso abbandono della teoria di Newton, presente da due secoli, i neo-empiristi ripropongono il problema riguardante se e in che modo l’evidenza sperimentale consenta una giustificazione induttiva delle teorie scientifiche. L’induzione presuppone un certo grado di incertezza nel passaggio dalle premesse alla conclusione. Mentre quando parlo di deduzione da certe premesse, intendo dire che, se la verità delle premesse è garantita, è garantita anche la verità delle conclusioni. Nell’inferenza induttiva, diversamente, se la verità delle premesse è garantita, allora la verità delle conclusioni è probabile in senso soggettivo. Per Hume il futuro (il sorgere del sole o l’esempio della segale cornuta con funghi allucinogeni) non è deducibile dal passato. Per Hume il futuro non è né deducibile né inducibile dal passato. I neo empiristi di Vienna e Berlino accettarono la sfida di Hume, cercando di elaborare sistemi di probabilità induttiva razionale. Carnap dedicò molti libri a questo, ovvero alla probabilità induttiva logica, cioè certa, che sia quella.
Frege, assieme a Kantor, inventò la teoria degli insiemi e insieme a Giuseppe Peano furono tre eroi della logica matematica di fine Ottocento. Poi Russel raccolse le loro idee e scrisse assieme a Whitehead i Principia Matematica. Secondo Russel la logica era il fondamento di tutta la matematica. Sappiamo oggi che ciò è impossibile, ma grazie a quel sogno partì la logica matematica del Novecento. Oggi ci sono un’infinità di logiche. Russel si accorse di una contraddizione nella teoria degli insiemi di Kantor. Scrisse una lettera a Frege. Il paradosso, la contraddizione, era quello “del barbiere” e “del bibliotecario”. Paradosso del barbiere: in un paese c’è un barbiere che sbarba tutti coloro che non sbarbano sé stessi. Il barbiere, dice Russel, sbarba o no sé stesso? Son vere tutte e due le risposte. Non è possibile. Frege ci medita su.
[Nota: il termine spiegazione si usa per la spiegazione scientifica fatta con le teorie che spiegano fatti; l’esplicazione è un’attività filosofica, è una riflessione sui concetti].