di Sergio Mauri
Nascita e consolidamento del movimento ambientalista, attraverso l’approfondimento del concetto di natura. Abbiamo una contrapposizione tra tecno-centrismo ed eco-centrismo, cioè – in definitiva – tra antropocentrismo ed eco-centrismo. Quindi, visioni con al centro l’uomo e visioni con al centro gli altri esseri viventi o comunque altre forme di vita, mettendo al centro le nostre esigenze rispetto ad altre.
Ciò porta alla “ribalta” anche il come ci vediamo noi rispetto al mondo, se pensiamo – cioè – di esserne al centro. Abbiamo quindi questa divisione, questa dicotomia tra Frontier Economics e Deep Ecology. Nella visione tecnocentrica alla tecnica è dato il compito di risolvere tutti i problemi. In questa visione il problema degli scarti non è tale, poiché la natura è un semplice contenitore dello scarto delle produzioni industriali, e così via.
Si considera anche, in questa visione, che le risorse siano illimitate. È qui, allora, il punto di rottura. Noi non abbiamo capito quelle che potevano essere le retroazioni della natura. Abbiamo addirittura pensato di poter fare a meno della natura. Per esempio, come nel caso delle città artificiali come Las Vegas vediamo bene come il necessario apporto energetico per tenere in piedi quella realtà imponga costi ecologici – e non solo – elevatissimi.
Nella Deep Ecology, abbiamo l’eco-centrismo, al centro c’è la natura. L’uomo non è più al centro del mondo. Qui siamo in una dimensione opposta a quella del tecno-centrismo. Dagli anni Ottanta del Novecento prende parzialmente piede la sobrietà, come elemento fondamentale della Deep Ecology. La circolarità del riciclo prende sempre più piede, emerge come elemento portante. L’esempio dell’alluminio, dall’impatto molto forte, è esemplare: la maggior parte (il 95%) è riciclata. Quindi, abbassamento dei costi e della necessità di prelievo della risorsa.
Come ci siamo collocati rispetto alle due realtà (ecocentrismo-tecnocentrismo)? Nel corso del tempo:
1) riparazione/protezione (anni Sessanta);
2) gestione delle risorse e del rischio (fine anni Settanta, fine anni Ottanta);
3) sviluppo sostenibile (fine anni Ottanta –>).
Quindi:
1) reazione all’inquinamento, l’ambiente è ancora mezzo per produrre, l’inquinamento è quello che non funziona. Si cerca un compromesso tra economia ed ecologia. Si fanno delle leggi per prevenire i problemi di inquinamento (come nel caso delle piogge acide). Non si mettono in dubbio il sistema produttivo e i comportamenti sociali. Nel 1969 abbiamo il NEPA, National Environmental Policy Act, che valuta costi e benefici dello sviluppo. Primo esempio di studio e valutazione ambientale. La logica rimane quella degli interventi a valle: tutto però continua al solito, si agisce solo sul problema quando c’è. Come la marmitta catalitica, un’aggiunta all’auto di un filtro per ridurre l’impatto. O dei filtri per diminuire gli effetti (siano barriere acustiche o filtri dell’acqua).
2) c’è un ulteriore passaggio. C’è un avanzamento delle conoscenze scientifiche e della sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Si internazionalizza il dibattito: nel 1972, Conferenza di Stoccolma sull’ambiente. Efficienza energetica, risparmio delle risorse e loro conservazione. Seveso, nel 1976, fu l’evento catastrofico di quegli anni in Italia. Si inizia a gestire il rischio ambientale attraverso la prevenzione, la riparazione e la protezione. Si attuano politiche ambientali che considerano i costi delle risorse naturali, cioè “chi inquina paga” e “chi usa paga”. La prima crisi energetica degli anni Settanta, vede l’OPEC alzare il prezzo del petrolio creando uno shock economico importante. I produttori hanno in mano un’arma geostrategica e la usano. Il sistema va in crisi.
3) 1983: Commissione Mondiale ambiente e sviluppo. 1987: rapporto Brundtland (Our Common Future) “sviluppo che risponde alle necessità del presente…” è la definizione di sviluppo sostenibile. È più che altro un paradigma politico.
I due concetti chiave sono: bisogni, limiti.
I principi dello sviluppo sostenibile sono: a) integrità dell’ecosistema b) efficienza dell’economia c) equità sociale intergenerazionale e intragenerazionale.
Le diverse dimensioni della sostenibilità: economica, ambientale, demografica (possibilità/capacità di carico), sociale, geografica, culturale.
L’equità sociale è anche importante e deve essere perseguita per evitare disequilibri che si ripercuotano sull’ambiente. L’accentramento nelle città (sostenibilità geografica) porta allo squilibrio ecologico. L’agricoltura come attività umana contribuiva a creare un equilibrio, tolto il quale a causa dell’inurbamento, l’ambiente, il territorio e il paesaggio si squilibrano.
Per quanto riguarda la sostenibilità culturale: trovare un equilibrio, attraverso l’aggiornamento delle culture, per evitare che alcune culture spariscano.