Filosofia diversa per contenuto, ma non per genere letterario usato, la quaestio, e per modo di procedere, l’argomentazione sillogistica. Aristotele è citato 85 volte, Platone 12. I testi biblici sono citati meno: 58 volte, di cui 37 il Vecchio Testamento e 21 il Nuovo. Vecchio testamento: Salmi (7volte); libri sapienziali, Proverbi, Sapienza, Ecclesiaste e Siracide (Ecclesiastico, in Dante). Nuovo: evangelisti (Matteo 8 volte, Luca 4 volte, Giovanni 3 volte, Marco 1 volta) e lettere di Paolo (5 volte, di cui 3 della Lettera ai Romani). Tuttavia, queste note quantitative non esauriscono l’impatto della Scrittura su di un testo. Dobbiamo anche verificare quale sia l’impatto sul linguaggio, al di là delle citazioni. Ad esempio, in CV, I, 1, 7-9, condensa il linguaggio del salmo, la parabola del figliol prodigo e l’episodio dell’incontro tra Gesù e la samaritana al pazzo.
Cv, I,13,12 richiamo a Isaia ripreso nel Vangelo di Matteo. Cv, IV,5,18 e segg. Salmi, soprattutto il Magnificat.
CV, IV, 27, 13-14 modellato su guai a voi biblici, Isaia, Amos, Matteo. Sono comunque casi isolati.
In buona parte il Convivio è modellato su quello in uso negli Studia. Per il Nuovo Testamento questo vale anche di più. Dal Vangelo di Matteo, Cv, IV, 30, 4. Cv, I, 4, 11. Cv, I, 11, 4. Cv, II, 1 e segg. Dal Vangelo di Luca, CV, IV, 11, 12-13. Sull’esercizio della modestia, Lettera ai Romani. Sul desiderio naturale di sapere, appagabile in questa vita, CV, 13, 9.
CV, IV, 17, 10 atteggiamenti di Marta e di Maria di fronte a Gesù, come allegoria della vita attiva e di quella contemplativa risalente, tuttavia, almeno a Gregorio Magno ed era di uso corrente tra i teologi (Tommaso). Cv, III, 1, 5 Trasfigurazione di Cristo, Vangeli di Matteo, Marco e Luca. Cv, IV, 22, 14-17 racconto della Resurrezione, Vangelo di Marco integrato dai versetti di Matteo.
Dante per costruire l’allegoria trova nell’etimologia, spesso fantasiosa, dei nomi presenti nel testo biblico una serie di proprietà esse stesse interpretabili allegoricamente. Nello specifico, Galileo è uguale a bianchezza; il bianco per Aristotele è uno degli estremi della scala dei colori, quello in cui la luce è presente al massimo. Per analogia, può significare la contemplazione che è la realtà più luminosa dal punto di vista spirituale.
Cv, III, 6,22. Cv, IV, 5, 9.
Rispetto al Nuovo l’utilizzazione del Vecchio Testamento è inserita in maniera più coerente. Le citazioni, quasi tutte dai libri sapienziali si concentrano quasi solo nel III° e IV° trattato. Nel III° trattato Dante interpreta la persona e le caratteristiche della “donna gentile” come allegoria della Filosofia (De consolatione di Boerio).
Dante la identifica con la sapienza eterna di Dio, utilizzando tutti i testi della Sapienza, dei Proverbi e dell’Ecclesiaste.
Cv, III, 14, 7 Dante dice che l’amore di Dio è eterno ed è pure eterno il suo oggetto, la sapienza. CV, III, 15 e 16, la Sapienza esisteva prima nell’intelletto divino. Nel IV Trattato prima della quaestio sulla vera natura della nobiltà, si esaminano i fondamenti e i limiti dell’autorità imperiale e di quella filosofica (Aristotele) per concludere che le due autorità sono complementari. Dante utilizza la Scrittura in modo del tutto originale. Si tratta della caratterizzazione della buona vecchiaia come di un’età in cui, come già in Lancillotto e Guido di Montefeltro, bisogna “calare le vele delle mondane operazioni” e “rendersi a religione ogni momento diletto e opera disponendo”. Nemmeno seve obiettare il fatto di essere coniugato. Inoltre, è circoncisione quella del cuore e dello spirito, non quello della lettera. Ciò significa che non importa vestire l’abito di San Benedetto, o di San Francesco per essere “religiosi”.
L’originalità della lettura che ne dà il Convivio va in una direzione che rompe con l’intera tradizione: monastica all’origine, ma fatta propria anche dai nuovi ordini mendicanti la teologia degli “stati di vita” poneva la professione religiosa, con tutti i suoi voti e le sue manifestazioni esteriori (compreso l’abito), al di sopra della vita matrimoniale dei laici, considerandola la via regia della perfezione e della salvezza. Dire che dio in noi di religioso ha voluto solo il cuore o che anche sposati si può avere accesso ad una “buona religione” significa dare ai termini un significato del tutto nuovo e, diciamolo pure, rivoluzionario. Così, anche in una pratica secolarmente collaudata come quella dell’utilizzazione della Bibbia nei vari scritti dei vari generi letterari. Dante lascia una impronta della sua potente originalità.
Il Convivio, ovvero il primo trattato filosofico in italiano, di Gianfranco Fioravanti.
All’inizio del capitolo V° del I° Trattato, Dante afferma che il ricorso al volgere dimostrerà che esso è assolutamente capace di esprimere “grandi concetti” esattamente come il latino.
La ragione della scusa sta dunque in tutt’altro: Dante la espone chiaramente all’inizio del capitolo X del I° Trattato: “Grande vuole essere la scusa, quando a così nobile convivio per le sue vivande, a cos’ onorevole per lì suoi convitati, s’appone pane di biado e non di frumento; e vuole essere evidente ragione che partire faccia l’uomo da quello che per gli altri è stato servato lungamente sì come di comentare con latino”. E in effetti Dante consacra l’intero capitolo all’esposizione dei motivi che giustificano la novità assoluta della sua impresa dal punto di vista dello strumento linguistico usato e che pongono dunque il Convivio allo stesso livello della grande tradizione del commento in latino. […] All’epoca di Dante il commento era diventato appannaggio quasi esclusivo della produzione culturale universitaria e si era concentrato su alcune precise categorie di testi: testi di teologia […], testi di medicina […], testi di filosofia […]. Inoltre, soprattutto in questi due ultimi casi il commento utilizzava un tipo particolare di strumento esplicativo, quello della dimostrazione sillogistica. Il commento dantesco alle canzoni rientra pienamente nel modello universitario di questo tipo. Molto spesso, infatti, nel Convivio sono utilizzate le stesse forme di argomentazione espresse nello stesso linguaggio tecnico, per quanto riguarda la materia trattata il Convivio non è evidentemente né un commento biblico né un commento medio, ma nonostante abbia come oggetto un testo poetico, presente tuttavia molte delle caratteristiche di un commento filosofico. Esso si apre infatti con la prima frase del primo libro della Metafisica di Aristotele: “Tutti gli uomini per natura desiderano sapere”. […] Atri esempi sono in Tommaso d’Aquino, nei commenti agli scritti di Aristotele. […] Il Convivio si pone sulla linea dei magistri artium parigini della fine del ‘200 e degli inizi del ‘300: Boerio di Dacia, Sigieri di Brabante, Giovanni di Jandim. Segue immediatamente l’enumerazione delle condizioni sfavorevoli (impedimenta nel linguaggio tecnico degli scritti filosofici) che impediscono a gruppi diversi di uomini di realizzare pienamente questa tendenza. Per una cosa non di poco conto il Convivio sembra diversificarsi da un commento filosofico: l’impiego di una doppia lettura del testo commentato (nel nostro caso le canzoni), la prima letterale, la seconda allegorica. […] L’idea di una polisemanticità del testo oggetto del commento è agli antipodi dell’ermeneutica dominante tra medici e filosofi universitari al tempo di Dante. La caratteristica del linguaggio della scienza doveva essere la sua assoluta univocità: per questo era stato creato un linguaggio tecnico, libero dalle ambiguità del parlare comune (il linguaggio delle guidditates, delle entitates, delle formalitate fino alla famigerata hecceita, il linguaggio di cui si prenderanno gioco molti umanisti). Il Tredicesimo e il Quattordicesimo secolo non erano più i tempi delle interpretazioni allegorico-filosofiche di Virgilio o di Ovidio elaborate dagli intellettuali del Dodicesimo sotto l’egida di Macrobio e del Timeo. Se guardiamo meglio ci accorgiamo che Dante, al di là della dichiarazione d’intenti iniziale, usa l’interpretazione allegorica solo per le due prime canzoni, nei trattati II° e III°. […] Filosofia vista come una donna dalle caratteristiche più umane, nella linea della rappresentazione che ne aveva dato Boerio nel De consolatione […]. Parlavano della loro disciplina descrivendola appunto come una domina, una imperatrix. Lo facevano utilizzando un vecchio genere letterario da loro riportato in vita: l’elogio della Filosofia […]. Terminato l’elogio della Filosofica-Sapienza, terminano anche le interpretazioni allegoriche che nel III° Trattato si erano molto ridotte. Viene introdotto il tema della nobiltà e lo si affronta in modo squisitamente filosofico, chiedendosi cioè quale sia la definizione corretta che coglie la sua quidditas […]. Tutto il Trattato è costruito sul modello della quaestio universitaria: all’inizio si espongono e si rifiutano le definizioni non valide della nobiltà dimostrandone la non correttezza sia dal punto della forma sia da quello del contenuto. Solamente dopo questa confutazione è possibile procedere nell’indagine che, con un metodo rigorosamente aristotelico, partendo dalla definizione nominale di nobiltà (la nobiltà intesa secondo l’abitudine comune di parlare, dice Dante) giunge attraverso una lunga serie di passaggi argomentati dalla formulazione della definizione reale rifugio. […] quaestio de nobilitate […] comporta altre tre questioni, due preliminari alla trattativa del quesito principale e relative rispettivamente ai fondamenti e ai limiti dell’autorità imperiale (quell’autorità che ha fornito appunto una definizione scorretta della nobilitas) e al perché Aristotele è considerato guida della ragione umana, una terza incidentale in cui ci si chiede se il desiderio di sapere aumenta all’infinito come quello della ricchezza. […] Il Convivio è il primo trattato originale di filosofia scritto in italiano da un laico per un pubblico di laici: possiede strutture argomentative e terminologie caratteristiche della filosofia in senso forte. […] In questi anni fare filosofia era in Italia, un0attività assai recentemente importata da Parigi allo Studio bolognese. Il primo corso universitario di filosofia in senso stretto fu appunto tenuto a Bologna nel 1295 da Gentile da Cingoli, in italiano emigrato per ragioni di studio in Francia. […] la questione della vera natura della nobiltà e del suo rapporto con le virtù morali appartiene al campo dell’etica e non è un caso se, tra tutte le opere di Aristotele, il testo più utilizzato e citato da Dante è l’Etica Nicomachea […] il pubblico cui il Convivio è rivolto non può che essere molto più ampio dei gruppi ristretti dei litterati universitari, criticati severamente da Dante. Il pubblico più vasto ha una connotazione sociale ben precisa: si tratta essenzialmente della nobiltà italiana di investiture imperiale, una classe che, per incapacità propria, ha ceduto gran parte del suo antico potere a poteri nuovi di dubbia legittimità e che sta distruggendosi da sé con le sue lotte intestine. […] il pubblico cui Dante si rivolge è un pubblico di illetterati che non vuol dire di analfabeti, ma di persone che non conoscono il latino, o meglio, nel caso della nobiltà che ne ha smarrito la conoscenza. […] utilizzare il volgare non è per Dante un ripiego o un minor male. Egli vuole offrire ai nobili quel modello di cultura “alta” che gli intellettuali universitari hanno monopolizzato, non per il bene pubblico, ma per i loro interessi privati.