di Sergio Mauri
Indice.
Biografia.
Pascoli nasce il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna (FC). Trascorre un’infanzia agiata, ma il padre gli viene ucciso quando ha 12 anni. Quest’evento segnerà tutta la sua vita. Indagherà personalmente su mandanti ed esecutori dell’omicidio del padre, arrivando – a suo dire – alla verità.
Termina il liceo nel 1873 e si iscrive alla Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna. Partecipa a una manifestazione contro il ministro della Pubblica Istruzione e ad una manifestazione non autorizzata, per la quale finisce in carcere per alcuni mesi dove soffre di depressione. Di conseguenza deve abbandonare l’Università. Si avvicina agli ambienti socialisti. Riprende più tardi gli studi, diventando allievo di Carducci e laureandosi in letteratura greca.
Il poeta esclude dalla propria vita ogni relazione sentimentale e punta solo alla ricostruzione del nucleo familiare paterno. Ha un attaccamento morboso verso le sorelle Ida e Maria. Ida si sposa, lasciando il nido familiare ricostruito dal Pascoli, di conseguenza egli si avvinghia ancor più a Maria, con cui si trasferisce in provincia di Lucca. Maria diverrà, dopo la morte di Giovanni, custode editoriale dell’opera pascoliana.
Nel 1891 pubblica la prima edizione di Myricae. Nel 1895 diventa professore di grammatica greca e latina all’Università di Bologna. Insegna poi a Messina e a Pisa. Nel 1905 diventa titolare della cattedra di Letteratura italiana a Bologna. Poco prima di morire, nel 1912, pronuncia il discorso La grande proletaria si è mossa, a sostegno dell’impresa italiana in Libia.
La poetica.
Scrive il saggio Il fanciullino, nel 1897, sulla poesia. Le ascendenze culturali di quest’opera sono in Platone e Leopardi. Pascoli vi sostiene che il poeta coincide con la parte infantile dell’uomo che negli adulti viene soffocata mentre rimane libera nei poeti. Sostiene la forza dell’intuizione rispetto alla razionalità. Il fanciullino allora è prerogativa del poeta, è parte piccola e umile che tuttavia esprime il privilegio del poeta ed ha in sé la vocazione alla superiorità.
In Pascoli il linguaggio e la sua concezione poetica sono improntati alla duplicità, alla combinazione fra gli opposti. In lui si bilanciano continuità e rottura, tradizione e innovazione, linguaggio popolare e linguaggio prezioso. È l’ultimo poeta classico e il primo dei moderni. Egli crede ancora fermamente nella funzione sociale e morale della poesia. Crede che la bellezza sia una garanzia di stabilità sociale.
Nel linguaggio di Pascoli entrano termini e locuzioni[1] quotidiane, popolari, dialettali, onomatopee e frasi e termini stranieri mutuati dal linguaggio degli emigrati italiani in America.
L’intenzione pascoliana è quella di raggiungere la rivelazione di una verità segreta concessa solo al linguaggio poetico. Questa verità segreta esprime il suo mistero per mezzo delle catene analogiche e dei simboli cui ricorre il poeta. Questo lo lega al Simbolismo europeo sotto un profilo istintivo più che consapevole. Egli, tuttavia, è seguace di Carducci, si estranea dagli sviluppi della ricerca europea. Saranno poi Ungaretti e Montale a superare l’arretratezza pascoliana.
Le due linee della sua opera sono: nido e morte.
Myricae: corrisponde all’italiano tamerici e viene da un verso del poeta latino Virgilio delle Bucoliche. Presuppone uno stile poetico comune e discorsivo. Tuttavia, il riferimento a Virgilio significa una certa sostenutezza. La poetica di Pascoli è ambivalente: alto e basso, tradizione e sperimentalismo. I temi della raccolta sono la morte e la natura.
Lavandare (Myricae): il poeta passeggia tra i campi in una giornata autunnale velata da una leggera nebbia. Da un canale sente arrivare un canto triste e lento con il quale le lavandaie accompagnano il lavoro.
Verso 2…resta un aratro senza buoi….personificazione
Verso 2…che pare…enjambement
Verso 5… lo sciabordare delle lavandare….onomatopea
Verso 6…con tonfi spessi e lunghe cantilene…chiasmo
Verso 6…tonfi spessi…sinestesia e accostamento
Verso 7…il vento soffia e nevica la frasca…metafora
Verso 7 e verso 9…frasca…rimasta…rima per assonanza
Verso 10…come l’aratro in mezzo alla maggese…similitudine
X Agosto (Myricae): poesia dedicata alla morte del padre che Pascoli collega a quella di una rondine uccisa anch’essa senza motivo mentre torna al nido dove l’attendono i suoi piccoli. L’uomo e la rondine sono simboli del dolore universale e della malvagia ingiustizia che regola la vita sulla Terra. La lontananza del cielo esprime la lontananza del bene e della giustizia dalla sofferenza umana.
[1] In linguistica, gruppo di parole (che non raggiunge la completezza formale e significativa della frase) in rapporto grammaticale fra loro (come per così dire, da capo a piedi, ecc.), o soltanto giustapposte (come ubriaco fradicio, verde bottiglia), che ha una propria autonomia in seno al lessico allo stesso modo delle parole singole.