di Sergio Mauri
Forse sanno di esserlo, forse no. Probabilmente no, visto il livello culturale che li distingue.
Da candidati sono diventati uomini di potere, ammesso e non concesso che in Italia si possa esercitare qualche potere forte (come si suol dire) e non ci siano invece una volgare e semplice sommatoria di poteri deboli (cit. D’Alema). Tuttavia, non smettono di essere candidati perenni come perenni sono le idee che tendono a riprodurre e riproporre con retorica ed abilità teatrali da alunni delle scuole medie inferiori. Anche perché il nuovo periodo storico, vuole che la politica sia esercitata sempre e raccontata di continuo.
Gli Stati, non tutti, ma la gran parte di quelli europei si, e comunque tutti in una certa misura, hanno dovuto abdicare alla loro peculiare forza impositiva e contrattuale nei confronti dei propri cittadini come nei confronti del mondo esterno anche se, storicamente si sono gradualmente accentrati, proprio per contrastare questa tendenza. In questa nuova ripartizione gerarchica feudale del potere, gli Stati nazionali come l’Italia non sono più al vertice di quella scala gerarchica, ma gestiscono localmente ( e nemmeno in toto ) quelle forme di controllo o di potere decisionale di “terzo livello” (dopo le multinazionali, le istituzioni finanziarie e ad esempio l’Europa), rispetto agli attori politico-economici che scorrazzano intorno al globo.
Perché allora questi signori fanno politica e si fanno eleggere al Parlamento italiano, nei Comuni, nelle Regioni? La risposta è ovvia e scontata: per il posto di lavoro! Chiaro: le elezioni sono diventate come dei grandi concorsi pubblici dove un esercito di disoccupati più o meno competenti (non importa quanto, tanto la burocrazia li aiuta a svolgere il loro compitino) si affaccia al mondo del lavoro. Per il posto di lavoro, per esercitare un piccolo potere personale, frutto della coltivazione del proprio orticello. Amen.
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