La politica corbiniana sull’immigrazione non è per nulla chiara. Tuttavia, da quel poco che si riesce a capire (leggendo ad esempio il “The Guardian”) il Labour intende adottare un regime in stile “carta verde” americana, piuttosto che il “libero movimento” in stile Schengen. Il Labour sembra muoversi verso l’espansione dei controlli alle frontiere piuttosto che alla riduzione del numero di migranti.
Il “libero movimento” di Schengen è una istituzione liberale. È una delle 4 libertà, le altre 3 riguardano esclusivamente il capitale e servono alla creazione e stabilizzazione di un mercato capitalistico continentale. I controlli, quelli veri, si sono spostati ai confini dell’Unione (vedi Frontex).
La maggior parte di migranti arriva comunque in aereo con un visto turistico ed hanno già in tasca l’assunzione. Tuttavia, dobbiamo ricordare che uno Stato si costruisce attraverso la creazione di categorizzazioni sociali e dando loro forza normativa e giuridica. Nominare, in questo senso, è performativo. Per cui quando lo Stato chiama un particolare gruppo “immigrati illegali”, crea la categoria e il gruppo sociale.
Dal 2009 la Commissione Europea (l’esecutivo non eletto della UE) ha sviluppato protocolli sempre più restrittivi riguardo l’immigrazione, deportando o rinchiudendo tutti gli “illegali” per come sono stati creati dalla sua stessa legislazione.
Parliamo quindi di un’istituzione liberale (il “libero movimento” di Schengen) che è al tempo stesso razzista…e non si tratta di una contraddizione o di un paradosso. Il liberalismo – infatti – si è sempre distinto per le sue logiche di esclusione: c’è sempre qualcuno a cui la regola universale non si applica!
Un altro importante argomento è quello socio-statistico. Nel Regno Unito dagli anni ’90 c’è stato un aumento dei lavoratori migranti, la gran parte dei quali provenienti dalla UE. Negli stessi anni si è assistito ad una polarizzazione del mercato del lavoro britannico in genere: sono aumentati di numero sia i livelli alti che quelli bassi degli impieghi. Come si spiega? Attraverso uno studio sull’economia migrante del Sudafrica dell’apartheid. Il costo di riproduzione del lavoro migrante in una zona di “libero movimento” è più basso che non quello per riprodurre il lavoro domestico. I costi per i migranti sono determinati da quelli dei prezzi dei loro paesi d’origine, dalle condizioni collettive di trasporto o di alloggio.
La costituzione di gerarchie nel mondo del lavoro sono aiutate ad essere costruite attraverso le politiche di welfare, le leggi sul mercato del lavoro e la “gestione dell’immigrazione”. I cambiamenti operati dai governi in questo senso hanno ottenuto il loro successo nel promuovere la flessibilità e la cultura dei bassi salari. Ciò vuol dire che dove i mercati sono ristretti e si devono effettuare dei tagli , è impossibile che ci siano salari in crescita (vedi The Work Foundation di Will Hutton).
Perciò, dati gli impegni macroeconomici del governo la scelta deve andare verso il lavoro migrante, oppure usare alti tassi d’interesse per deflazionare la pressione degli stipendi nella parte bassa dei salariati. Questa forma segregata di mercato del lavoro non è solo il prodotto di processi economici, ma il risultato di un orientamento della statualità.
L’emigrazione, sui salari, ha un moderato effetto di incremento (IPPR think-tank e CRAM di UCL). Gli effetti depressivi sui salari ci sono nella parte bassa della scala salariale (vedi ricerca LSE). L’impatto fiscale dell’immigrazione è piccolo, ma positivo (Migration Observatory, Oxford).
Una politica di crescita economica di sinistra, per funzionare, necessita di farla finita con i vantaggi competitivi e con il lavoro “a contratto”. Un’azione di sinistra necessita di una politica fortemente egualitaria del mercato del lavoro. Sarebbe necessario sopprimere – attivamente – tutti gli assi della segregazione nel mercato del lavoro. Bisogna colpire innanzitutto gli assi di genere e razza. C’è necessità per tutti i lavoratori – indistintamente – di essere ugualmente pagati per lo stesso lavoro, un accesso uguale allo Stato, medesima protezione legale, stesso accesso al mercato abitativo e al welfare, stesso accesso alla rappresentanza sindacale e così via. Rompere col neoliberismo significa rompere con un sistema del lavoro razializzato e non con la libertà di movimento. Non è semplice. Sopprimere la competizione attraverso l’intervento dello Stato riduce il “fattore richiamo” per gli immigrati. In un certo senso riduce le loro opportunità. Ma ciò è ottenuto con il livellamento verso l’alto, attaccando la segregazione del mercato del lavoro come principio.
Il Labour non sembra voler abbracciare una politica dei “confini aperti” per tutti i lavoratori. Ma ciò non significa che non si possa ottenere un qualche progresso o il contrasto alle politiche reazionarie. E Corbyn, pur non vincendo, ha portato il Labour al livello più alto dal 1945. Può ottenere dei risultati riuscendo almeno a mantenere l’attuale libero movimento di lavoratori migranti, non stigmatizzando i rifugiati, abolendo i centri di detenzione, rifiutando qualsiasi esclusione razziale sia essa contro i musulmani o i cittadini della UE:
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