di Sergio Mauri
Da quando l’uomo è comparso sulla Terra è non solo stato in contatto con l’ambiente naturale circostante, ma ha anche interagito con esso modificandolo per necessità di sopravvivenza, distruggendolo a causa di conflitti, per le proprie necessità economiche e bisogni immediati. Da quando ha preso avvio la Rivoluzione industriale è nata l’idea di una salvaguardia della nostra specie inserita in un determinato ecosistema.
Oggi, questo bisogno di salvaguardia della natura è focalizzato sulla nostra necessità di conservazione come specie; quindi, potremmo affermare che si tratta di una questione che vorremmo risolvere per necessità e ha la sua origine su di un piano prettamente egoistico.
Proviamo a tornare, ridefinendolo, sul cambiamento climatico. Potremmo partire dal porci la domanda, se, piuttosto che di un cambiamento climatico si possa parlare di un’interazione tendenzialmente distruttiva tra uomo e ambiente. Infatti, il cambiamento climatico è solo uno degli effetti che potremmo definire della compromissione dell’ecosistema: inquinamento di acqua, terra e aria, distruzione di specie animali.
La questione del cambiamento climatico e dell’interazione uomo-ambiente la possiamo far rientrare nella più vasta questione della tecnica, intesa come organizzazione del mondo, ottimizzazione dello spazio geografico, della gestione delle risorse planetarie (Heidegger), ma anche come parte del processo di reificazione (Marx).
Non è forse lo sviluppo della tecnica il sintomo del tramonto della religione? Rispetto a visioni che pongono la natura come creata da Dio, seppur dall’uomo addomesticabile, non è forse la nostra epoca tanto lontana da quelle visioni quanto al tempo stesso si è avvicinata alla tecnica?
Lo sviluppo della tecnica non è casuale, ma ci pone davanti alla constatazione dello sviluppo di un soggetto che della tecnica fa strumento di potere e quindi di ottimizzazione della vita in cui si articola la nostra specie fino al punto di sostituire alla parzialità del giudizio umano l’imparzialità di un giudizio inappellabile dell’IA in grado di elaborare in senso estensivo e intensivo impressionanti quantità di dati.
Gli interessi economici sono legati a quel soggetto e la tecnica è a sua volta lo strumento per la migliore gestione di questi interessi. In prospettiva, non essendoci all’orizzonte una via d’uscita da questo modo di produrre e da questo modello economico, le nostre ipocrisie non potranno che aumentare. Quanto di ciò che dichiariamo essere un nostro intendimento conseguente alla presa di coscienza ambientalista riusciamo a rendere effettivo, cioè capace di oltrepassare il mero gioco di parole o il sentimentalismo che rimane interno a ognuno di noi senza concretarsi? Perché c’è anche un problema di misurabilità delle politiche ambientaliste allo stesso modo in cui misuriamo più o meno correttamente e onestamente l’economia.
Tuttavia, e questa è un ipotesi, forse l’unica strada percorribile è quella di un onesto e severo controllo sul sistema produttivo[1] e in questo potrebbero addirittura ritornare utili i generi di vita di De La Blache da declinare nella contemporaneità direttamente nei nostri stili di vita.
[1] Vedi Mann Geoff.