Afferma Zygmunt Bauman:
[…] un mondo che chiamo liquido perché come tutti i liquidi non può restare immobile a lungo. In questo nostro mondo, tutto, o quasi, è in continua trasformazione: le mode che seguiamo, gli oggetti che richiamano la nostra attenzione, ciò che sognamo o temiamo, che suscita in noi speranza o preoccupazione.[…]
E’ un’affermazione interessante che dà una valenza negativa a questo stato caratterizzato dalla trasformazione. C’è stato un tempo, non molto lontano, in cui la trasformazione capitalistica era vista si come disseminata da pesanti contraddizioni, ma tuttavia, come un viatico necessario per modernizzare in primis il sistema stesso e poi trasvalutarsi in un altra dimensione socio-economica, vista come superiore, in un punto di arrivo altro. A questo viatico si attribuiva, senza dubbio un valore positivo. E’ interessante notare questo cambiamento come cartina al tornasole dell’involuzione che ha subito il pensiero critico occidentale, fino al punto da vedere solo nero in tutte le contraddizioni del sistema. Sembra non ci sia alcun punto di rottura in cui inserire nuove forme di vita sociale.
Questo atteggiamento mentale, questa attitudine alla resa intellettuale che ormai dilaga in Occidente a tutto vantaggio dei gruppi organizzati nella Destra economica così ben rappresentata dal capitale finanziario speculativo, è ormai il tratto distintivo di un’epoca. Tuttavia, e qui torna la controversa affermazione di Bauman, è vero che il mondo contemporaneo si manifesta in maniera liquida, ma solo in superficie (come movimento di cose e persone, merci e forza lavoro, ovvero la famosa globalizzazione) ed è ottuso non vederlo. Perché sotto questa superficie è in vigore una struttura che ci ha conformati tutti e che viene difesa con la legge e con le armi, a tutti i costi. Si chiama capitalismo.
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